LA MAGISTRATURA AI TEMPI DEL MALE ASSOLUTO
“Magistratura
inetta? Magistratura politicizzata? Magistratura corrotta? Bah! Decidete
voi. Terminai il mio lavoro con queste parole: “Per provare a capire se la Magistratura nata dopo la Resistenza sia
realmente (come da titolo) inetta, politicizzata, corrotta, farò seguire una
analisi documentata di come operava la Magistratura ai tempi del “Male
Assoluto”.
Prima di immettermi in questo nuovo tema, vediamo come viene giudicata –
solo con alcuni ulteriori esempi – la Magistratura oggi secondo il giudizio di
valenti uomini di legge.
Il procuratore aggiunto alla Procura di Torino, Bruno Tinti, nel suo
libro Le toghe rotte, dopo aver
espresso alcune considerazioni, prosegue: <(…). Non ci posso credere, ma veramente
la magistratura è ridotta così?>. Il capo della Procura di Napoli, Vincenzo
Galgano, ha dichiarato al Corriere del
Mezzogiorno del 19 ottobre 2009: <Nella nostra Procura ci sono alcuni pm
faziosi e fanatici che danneggiano persone e collettività e provocano
sofferenze (….)>. Antonio Ingroia (lo ricordate?), qund’era PM alla Procura
di Palermo ha definito “politicizzata”
la sentenza della Consulta, che ha dato ragione al Presidente Giorgio
Napoletano nel conflitto con la
Procura di Palermo sulle intercettazioni delle sue telefonate col senatore
Nicola Mancino. A questo va aggiunto l’osservazione di Gustavo Zagrebelsky, ex
Presidente della Corte Costituzionale, che, in pratica condivise il giudizio di
Ingroia. Piero Ostellino, sul Corriere
della Sera dell’11 maggio 2013, fra l’altro ha scritto: <A giudicare da
come sono condotte certe inchieste, si perviene a sentenze poi smentite anni
dopo, si tratta di gente che non sa semplicemente fare il proprio mestiere o lo
fa con la (paranoia) presunzione di poter disporre della vita degli altri a
proprio arbitrio. Il difetto sta, evidentemente, in un concorso inadeguato a
individuare preparazione professionale e attitudini personali>.
Alcuni decenni fa, al tempo del Male
assoluto, pur nelle strettoie di un regime autoritario, questo ha saputo
dimostrare una notevole autonomia nell’esercizio delle funzioni giudiziarie.
Infatti possiamo sostenere che Benito Mussolini, Capo del Governo Fascista,
mostrò una indubbia sensibilità politica nei confronti della magistratura e,
quindi, nei magistrati ai quali impose una assoluta indipendenza nei confronti
della politica. Quando, su consiglio dei suoi ministri, ritenne opportuno di
dover intervenire a difesa del Regime, Mussolini concepì, con la legge 25
novembre 1926 n. 2008, il Tribunale per
la difesa dello Stato, escludendo dalla sua compilazioni magistrati
ordinari. E ancora, ai magistrati era fatto divieto l’iscrizione al Partito
Nazionale Fascista, questo fu certamente condiviso dal ministro della Giustizia
Alfredo Rocco. Questo trova conferma con quanto ha scritto Francesco Andreussi
su La voce di Mantova del 25 ottobre
1994: <Vi furono infatti eminenti
figure di Magistrati che raggiunsero i più alti gradi senza appartenere al
Partito. Solo nel 1940, la legge 28 ottobre n. 148, richiede l’appartenenza al
Partito quale condizione per l’avanzamento in carriera del personale dello
Stato>. Andreussi osserva: <Il
giuramento che fin dal 1927, era stato imposto a tutti i funzionari viene
considerato una dichiarazione di lealismo, non richiede l’iscrizione al
Partito, ed è accettato dai magistrati anche dalla sua formulazione che dice:
“Giuro di essere fedele al Re ai suoi reali successori, al regime fascista e di
osservare lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato”>. In
pratica è un giuramento alla persona del Re, il che è costituzionalmente
ineccepibile. Tesi accettata dall’Osservatore
Romano che nel numero del 4 novembre 1931 dichiara che il giuramento è
legittimo e che il termine “Regime
fascista” equivale alla dizione “governo dello Stato”. Fino al 1936 la
Magistratura è esclusa da qualsiasi attività politica in seno al Partito, però
da quella data i magistrati, se iscritti avevano l’obbligo di appartenere
all’Associazione fascista del pubblico impiego, segno evidente che molti
magistrati non erano iscritti. Nel 1940, allo scoppio della guerra, si verificò
un accentuato intervento nelle file del Partito, tanto che si stabilì
l’opportunità di stabilire il tirocinio degli uditori giudiziari. L’8 settembre
1943, a seguito della fuga (o come qualcuno vuole ancora indicarla trasferimento) del governo Badoglio e
del Re, pose il Paese in grave crisi a seguito della rapida occupazione
tedesca, con conseguente paralisi di tutte le organizzazioni dello Stato. Solo
con il ritorno di Mussolini si cercò di ricostituire una normativa atta a far
riprendere una vita amministrativa del Paese.
Come per ogni altra attività, anche l’esercizio della magistratura è
completamente paralizzata, inoltre i magistrati non possono pronunciare le
sentenze in nome del Re, e ancora:
furono emanate dal P.F.R. norme per la creazione di Tribunali speciali
provinciali intesi a colpire cittadini che nel periodo dei 45 giorni del
governo Badoglio avevano espresso dissenso contro il Fascismo e Mussolini.
Erano norme a carattere penale retroattive e come tali ingiustificabili se non
nel contesto dello speciale momento storico nel quale il Paese viveva. Il 29
ottobre (1943) a seguito della morte del guardasigilli Trincali Casanova,
Mussolini chiama a sostituirlo Piero Pisenti, validissimo avvocato fondatore
del fascio friulano; Pisenti accetta il delicato incarico perché desideroso di
contrastare il controllo del Gauleiter e con ciò tutelare l’italianità della
Venezia Giulia. Pisenti comprende l’importanza di mantenere l’autonomia della
Magistratura, condizione che Mussolini stesso non solo non contesta, ma ne
riconosce assolutamente la necessità. Con ciò le sentenze vengono pronunciate “nel nome della Legge” e non “nel nome della R.S.I.”. <Sia ben chiaro> osserva di nuovo
Francesco Andreussi <è una
magistratura non fascista, ma non avversa al Governo che in condizione di
necessità regge il Paese>. Non si trascuri un fatto storicamente di
grande rilevanza: mentre nel cosiddetto Regno
del Sud, come per qualsiasi altra attività i magistrati non potevano godere
di alcuna autonomia, tanto che le loro sentenze erano poste al controllo e alla
arbitraria revisione delle autorità alleate inglesi o americane; al Nord, nella
Rsi le sentenze escludevano ogni controllo sia dell’alleato tedesco che del
Partito Fascista Repubblicano. Questa autonomia conferiva ai magistrati una
notevole forza morale. Come detto la magistratura non fu chiamata ad alcun
giuramento alla Rsi, ma ciò non toglie che essa abbia operato con lealtà nell’applicazione
delle leggi.
Con il 25 aprile 1945 cessò il ciclo della Magistratura cosiddetta <fascista, in quanto questa ha sempre
conservato la sua autonomia, sorgente delle origini liberali e dalla concezione
di Mussolini che ha sempre inteso rispettare il potere giudiziario. Con
l’avvento a questo ministero di Palmiro Togliatti, subentrò la partitocrazia e
già alla fine del 1960 la Magistratura fu vittima dei partiti che entrarono di
prepotenza con la corruzione e con le lusinghe nelle aule giudiziarie>.
Terminiamo con un giudizio di Indro Montanelli: <Sicché quello che Mussolini si vergognò di fare, la politicizzazione
della giustizia, l’hanno fatta i partiti democratici e fin qui nulla di
straordinario, li conosciamo. Lo straordinario è che l’abbiano fatto con
l’operante consenso dei Magistrati>.
QUIRINO1
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