venerdì 30 novembre 2012

LA GRANDE TRUFFA "I.N.P.S."

La grande truffa Quando nel 1933 fu creato Istituto Nazionale della Previdenza Sociale il suo scopo era quello di fornire delle prestazioni previdenziali differite, al lavoratore che avesse versato contributi per un certo numero di anni fissato dalla legge ed avesse raggiunto un’età anch’essa stabilita dalla legge; raggiunti questi due traguardi il lavoratore veniva collocato a riposo e poteva affrontare gli anni di vita che gli restavano godendo di un vitalizio che lo Stato gli garantiva. In sostanza chi lavorava versava dei contributi che erano suoi e che andavano a formare una somma, la quale gestita dall’ente, poteva permettere l’erogazione delle somme necessarie. Qui va chiarito subito un concetto importante: ogni lavoratore aveva, ed ancora ha, una sua specifica posizione personale, versava delle somme che sono sue e delegava l’ente a gestirgliele al meglio per garantirgli il suo vitalizio futuro. Nel 1933 era stato posto in essere un tacito patto generazionale per cui ognuno versava delle somme che servivano alla erogazione di prestazioni pensionistiche, i vecchi come i nuovi lavoratori: i patti erano chiari, si lavorava un certo numero di anni, si arrivava ad un massimo di età ed al raggiungimento di quel traguardo, l’ente erogava la pensione. Questo senza intaccare il capitale, ma solo con gli interessi che esso produceva: in sostanza quello che ogni istituto di assicurazioni fa con chi sottoscrive qualsiasi tipo di polizza vita. Niente di trascendentale o di complicato: la mutualità creava la forza per fare tale tipo di cose. Per sgombrare il campo da altre leggende metropolitane, è bene aggiungere che nel 1939, vennero create anche le gestioni assicurative separate contro la disoccupazione, la tubercolosi e creati gli assegni familiari. Nel 1968 viene riconosciuto ai cittadini bisognosi che hanno compiuto 65 anni di età, una pensione che soddisfi i primi bisogni vitali. Nasce anche la Cassa Integrazione guadagni straordinaria. Tutto ciò sempre e comunque con versamenti ritirati dalla busta paga dei lavoratori dipendenti. In pratica si garantivano delle prestazioni ai lavoratori che prendevano corpo dai versamenti obbligatori dei medesimi, certo non venivano riconosciuti degli interessi montanti sulle somme versate, né si poteva scegliere, come nelle polizze assicurative, tra vitalizio o capitale: quest’ultimo restava sempre di pertinenza dell’ente previdenziale, anche per garantire, con una sana e prudente amministrazione, l’erogazione delle prestazioni. Insomma si rinunciava a qualcosa di proprio, per favorire anche coloro che in futuro dovevano andare in pensione: tutto sommato una cosa equa. Con il passare degli anni tutta questa linearità è svanita: è vero che l’allungamento della vita ha creato un prolungamento delle prestazioni, ma dobbiamo anche dire che i salari sono aumentati e, cosa non trascurabile, il livello dei contributi alzato di molto; il sistema dovrebbe essere equilibrato. Oggi sembra che tutto ciò si sia vanificato! Pare che i contributi non siano più delle somme di proprietà di chi li versa, ma siano una tassa che lo Stato richiede ai suoi cittadini e che questi, quasi quasi, pretendano prestazioni superiori a quanto sia possibile erogare e che le generazioni future non si sa se potranno usufruire di tali prestazioni. In corso d’opera, intere generazioni che avevano firmato un contratto di lavoro si sono viste, attraverso degli interventi legislativi discutibili, cambiare questi diritti acquisiti, per cui dovranno lavorare quaranta anni o più, andare in pensione più tardi ed avere delle prestazioni più basse. E tutto ciò in base a quali principi? I fondamenti che avevano creato la previdenza non esistono più: dalla certezza di un futuro sereno alla fine del periodo di lavoro si è passati ad una totale ed assoluta mancanza di una benché minima base di sicurezza. Le somme versate non sono sempre di proprietà di chi le versa? Sembrerebbe di no e che lo Stato sia diventato il proprietario indebitamente di esse e che, a causa del perenne stato di crisi, sia in grado di negare per legge qualsiasi tipo di diritto acquisito: ma ciò per tutti? Assolutamente no! Certe categorie sono privilegiate ed intoccabili: i magistrati, ad esempio, stabiliscono che certe leggi per loro non valgono. E cosa poi dire dei parlamentari o dei ministri? Loro sono «la casta degli Intoccabili», i sacrifici li facciano i fessi: certe somme che le portino i paria che lavorano. Loro no di certo! Che dire poi del famoso TFR (trattamento fine rapporto) anche questo pagato con esborso oneroso detratto dalla busta paga: da una mensilità (di solito l’ultima percepita dal lavoratore) per ogni anno lavorativo corrispondente grosso modo all’ottanta per cento del versato, si è passati ad erogare all’avente diritto solo l’ottanta per cento di questo ottanta per cento: altra colossale truffa! Ma andate a vedere se i manager di Stato percepiscono tali somme o se addirittura il TFR non venga concordato e lo Stato eroghi somme milionarie a questi figuri che spesso portano al quasi fallimento delle società loro affidate. Ed i politici? Meglio calarci sopra un pietoso velo! A rendere tutto più incerto e fumoso ci si è messa anche l’Europa che spinge i governi a saccheggiare la previdenza ed a rendere le prestazioni pensionistiche sempre più scarne e magre. Ma non basta ed il sacco continua. In questo ultimo periodo si parla sempre di più di un intervento operato sul settore pensionistico che riguarda tutta una serie di lavoratori, sia del settore pubblico che di quello privato, che hanno versato i loro contributi previdenziali ad enti differenti (1). La logica ed il buon senso vorrebbe che i vari contributi pagati e trattenuti dalle buste paga di questi lavoratori venissero cumulati in quanto il soggetto contributivo ha comunque svolto una mansione lavorativa ed ha accumulato un monte anni di contributi previdenziali. A questo va aggiunto che in passato la normativa prevedeva la ricongiunzione dei medesimi contributi presso l’ultimo ente assicurativo con cui il lavoratore stava versando le sue spettanze contributive. Tale operazione in linea di massima non era onerosa: quindi un lavoratore dipendente che fosse stato soggetto a contributi INPS regolarmente versati sia da lui che dal datore di lavoro, si vedeva riconosciuti per intero gli anni e mesi di contribuzione versata, presso l’ultimo ente. Se si fosse verificata una carenza o mancanza di contribuzione, solo in questo caso per non avere periodi scoperti e quindi non validi ai fini del calcolo di anni validi ai fini pensionistici, il dipendente poteva chiedere il riscatto dei periodi privi di effettiva contribuzione. Nel 2010 il ministro Sacconi, nel quadro di una serie di misure urgenti richieste dall’Europa per la stabilizzazione finanziaria e la competitività economica, presentava al Parlamento, che l’approvava in data 30 luglio 2010, la legge numero 122 che convertiva in legge il decreto numero 78 del 31 maggio 2010 L’articolo 12 septies della suddetta legge prevede che la ricongiunzione dei contributi assicurativi sia onerosa, cioè a dire, che pur in presenza di contributi regolarmente versati, il dipendente per ottenerne il ricongiungimento deve sottostare ad un calcolo effettuato con le stesse tecniche del riscatto: quindi, per esempio, un lavoratore che volesse ricongiungere quattro anni di contributi versati presso l’INPS, con domanda presentata all’INPDAP, vedrà presentarsi, da parte di quest’ultimo ente, un salato conteggio, perché dovrà versare di nuovo tutti i contributi, come se nulla fosse stato effettuato, nel periodo in questione. Ciò è giusto in presenza di richiesta di riscatto (per esempio gli anni universitari) dove nessun contributo è stato versato e quindi è necessario effettuare i versamenti tenendo conto dell’età in cui viene presentata la domanda, degli anni mancanti al pensionamento, dello stipendio percepito al momento della presentazione della domanda e quant’altro. Il tutto richiede la definizione di parametri di riferimento ottenuti con complicati calcoli attuariali. Ma nel caso specifico di ricongiunzione i contributi già versati che fine hanno fatto? Né è giustificabile la preoccupazione che i soggetti potessero scegliere di ricongiungere all’INPS i contributi e quindi poter usufruire di una età più bassa per il collocamento a riposo, in quanto di fatto la regola del riscatto oneroso vale per il ricongiungimento verso qualsiasi ente. Tutto ciò a partire dal primo luglio 2010, quando, invece, la legge è stata approvata in data 30 luglio quindi con effetti retroattivi, previsti soltanto per questo argomento specifico. Come vedete, ci troviamo di fronte ad un’aberrazione giuridica: la legge in generale produce sempre i suoi effetti ex nunc mai ex tunc, questo per il concetto della certezza del diritto, un soggetto non può essere dotato di capacità divinatorie e nel momento in cui pone in essere dei comportamenti legalmente concludenti (2), non può assolutamente essere considerato in mala fede se non esiste nessun tipo di normativa che vieti un tale tipo di comportamento. Quindi qui siamo in presenza di un approccio al problema del tutto truffaldino da parte del legislatore: né è possibile addurre come giustificazione che ci troviamo in presenza di un tipo di normativa di carattere finanziario o fiscale. In pratica il buon ministro Sacconi ha imposto ai soggetti di ripagare per intero di nuovo la propria quota e quella del datore di lavoro per poter usufruire della validità di anni di lavoro ai fini pensionistici. Un altro dubbio sorge in merito: ma i precedenti contributi che fine hanno fatto? Forse che sono spariti oppure sono stati utilizzati da lorsignori per altri scopi? Secondo un articolo apparso su Libero di domenica 25 novembre a firma di Sandro Giacometti apprendiamo che secondo la Ragioneria dello Stato per risolvere questo problema dei ricongiungimenti onerosi occorrerebbero 2,4 miliardi di euro, mentre secondo l’INPS sarebbero sufficienti solo 1,4 miliardi di euro, per la Commissione Lavoro alla Camera la cifra sarebbe di 900 milioni di euro spalmati su dieci anni. Strana cosa: ma i contributi non erano stati regolarmente versati? Quindi queste somme erano già in possesso dei vari enti previdenziali: in base a quale alchimia ora diventano dei debiti da colmare con degli esborsi da parte dei soggetti interessati, oppure con un intervento da parte del governo, quindi con nuove tasse? Non occorrono ulteriori versamenti per coprire un minor introito. Tali somme da esborsare da chi sono state inventate? Il governo deve solo riportare la situazione quo ante alla promulgazione di questa insensata legge: qui i soggetti non devono riscattare nulla, la loro posizione contributiva deve soltanto essere spostata da un ente ad un altro con una semplicissima operazione contabile: fine dei discorsi. Tutto ciò se ci si trova in presenza di posizioni contributive identiche: quindi con contributi sufficienti a coprire il dovuto come se il dipendente avesse sempre lavorato con l’ultimo ente previdenziale. Se il lavoratore non volesse ricongiungere presso un solo ente tutti i suoi contributi, può tranquillamente, rebus sic stanti bus, ricorrere alla «totalizzazione dei periodi assicurativi» come da decreto legislativo numero 42 del 2 febbraio 2006; in questo caso la domanda di pensionamento va presentata all’ente presso il quale presta servizio e la pensione viene calcolata con il sistema «pro rata», ovvero ognuna delle casse previdenziali corrisponde la sua quota di pensione. La pensione viene erogata dall’ultimo ente assicurativo, il quale poi si fa rimborsare la quota spettante dall’altro, in base al sistema contributivo vigente. I diritti acquisiti sfumano, i patti sociali vengono vanificati o calpestati. Sempre di più si fa strada, nella mente della gente, una domanda: ma tutte queste enormi masse di denaro che fine fanno? Come vengono investite, quanto rendono? (3). Chi strategicamente decide come impiegarle? Segreti latomici, misteri, alchimie finanziarie che nessuno ha il diritto di conoscere. Nessuno ha il diritto di sapere o di chiedere un rendiconto agli amministratori sulla gestione di questi miliardi di euro: e ci mancherebbe che per caso sono soldi nostri? Azzardatevi a sospendere il pagamento dei contributi e vedete che «ragionevoli interessi», quali more, previste dalla legge, vi verranno applicate da questi sciacalli. Se poi loro indebitamente escutono delle somme non dovute si apre «una voragine nei conti dell’INPS» ed i pennivendoli di regime ci somministreranno ancora nuove e massicce dosi di ansia e di inesatte notizie. QUIRINO 1

mercoledì 28 novembre 2012

DOVE SI VUOLE ARRIIVARE......

DOVE SI VUOLE ARRIVARE? Il ritorno degli opposti estremismi. Per le manifestazioni e i cortei, oggi in programma a Roma, auguriamoci che non si verifichino incidenti, soprattutto quelli di coloritura “neofascismo – antifascismo”. Ma se così invece dovesse malauguratamente accadere, allora nessuno ci toglierà la convinzione che tutto è stato programmato, che c’è chi vuole riesumare vecchie tematiche antagoniste per inconfessati scopi. Non c’era infatti alcun motivo perchè al corteo preannunciato da Casapound si anteponesse un “presidio” antifascista. Ma quale “presidio”, quale “antifascismo”? cosa c’è da “presidiare”, chi lo ha progettato ha ben altre intenzioni. Chiare e preveggenti le parole con le quali il direttore di Rinascita ha chiuso un suo articolo dell’altro ieri: <>. In previsione di una guerra o di una rivolta di popolo Ma a nostro avviso, questa volta, a differenza degli anni di piombo, c’è molto di più che un rigurgito di opposti estremismi al tempo adatto ad agevolare la conduzione del sistema da parte dei governi DC. Questa volta c’è all’orizzonte quello che certe “centrali” di potere sanno bene: la possibilità di una guerra internazionale che potrebbe avere risvolti apocalittici. O in alternativa il coinvolgimento dell’Italia in altre sporche manovre militari in medioriente. Questa di una futura, ma neppure troppo futura, guerra è un ipotesi, seppur molto concreta, tenuta in ben conto, ma il drastico e progressivamente crescente aumento della povertà e del disagio sociale del nostro popolo, già in atto per volontà delle misure imposte dai banksters, è invece una realtà, una realtà foriera di forti tensioni sociali. In prospettiva di eventi del genere, tutto deve essere sotto controllo: ogni opposizione interna, ideale o politica, deve essere dissolta, vanificata. Per dissolvere, vanificare ogni opposizione interna è necessario che ci siano provocazioni, incidenti che possano dare il pretesto ad interventi drastici sul piano poliziesco e decisivi su quello giudiziario. Affinchè questo avvenga, chi di dovere sa benissimo a chi si deve rivolgere per fargli organizzare certi incidenti. La stampa di sistema poi farà il resto. La catena di montaggio della strategia della tensione è sempre la stessa: determinate “centrali” danno l’input che viene recepito da “chi di dovere”, e “chi di dovere”, ha sempre per le mani, attraverso le pieghe di certi Servizi, persone che, a loro volta, sono attivi in determinati gruppi politici o sociali. Il gioco è fatto, resta solo da attendere la giusta occasione. Dove si vuole arrivare con il cosiddetto “antisemitismo”. Guardate cosa è accaduto a Roma in occasione della partita Lazio – Tottenham. Prima, incidenti e aggressione ad un gruppo di tifosi inglesi, per motivazioni ancora non chiare, poi un minoritario coro provocatorio allo stadio tipo Judent Tottenham, rivolto ai tifosi del Tottenham ivi presenti. In conseguenza di questo si è addirittura mosso il Jewis Congress che ha chiesto all’Uefa, l’ente calcistico europeo, di espellere la S. S. Lazio dalle competizioni europee. Un richiesta assurda e pretestuosa, perchè l’aggressione ai tifosi inglesi in un pub di Campo de Fiori, esula dal tifo dei laziali, la Lazio non c’entra nulla, anzi ha contorni oscuri e di ancor più oscura matrice, tanto è vero che due presunti aggressori arrestati risultano addirittura ultrà della Roma. Quindi al massimo si potrebbe pensare ad un gruppo organizzato, composto di elementi eterogenei, preposto ad atti violenti di ambigua matrice. Il piccolo e breve coro poi allo stadio, che un altrettanto piccolo gruppo di persone, ha cercato di intonare all’Olimpico durante la partita e che neppure il delegato dell’Uefa sembra aver sentito, appare in tutta evidenza come un’altra provocazione per dare poi il pretesto alla stampa di criminalizzare tutto. Cosa puntualmente avvenuta. Cosa c’è veramente dietro la legge antirevisionista Un ultima considerazione: Da notizie di agenzia, sembra che il presidente della comunità israelitica romana Riccardo Pacifici, abbia chiesta al Prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro di revocare il corteo di oggi di Casapound, in quanto gli appartenenti a questo movimento si definirebbero “i nuovi fascisti del millennio”, A prescindere che questo termine “fascisti” affibbiato a destra e manca ci sembra del tutto arbitrario, la richiesta di Pacifici ha però un carattere simbolico: qui si vuole simbolicamente proibire tutto ciò che possa in qualche modo avere un riferimento, un aggancio, vero o presunto che sia, anche ideale con un certo passato. E’ indubbio che c’è da tempo un tentativo in atto, di cancellare totalmente la “memoria” del passato, il valore di certe idee, ideali, simboli di chi ha combattuto una guerra del sangue contro l’oro. E’ a questo che con il tempo vogliono arrivare. La prefigurazione di un Nuovo Ordine Mondiale e mondialista, richiede tutto questo. La stessa Legge, o meglio le modifiche di legge, che in sordina, stanno preparandosi a votare al parlamento, e che si può prevedere, con grande clamore poi le annunceranno, magari intorno al “giorno della memoria”, il 27 gennaio prossimo, e magari dopo che qualche provocatore, qualche deficiente, ovviamente manovrato, avrà compiuto qualche gesto demenziale, dal tenore “antisemita”. La madre dei cretini è sempre incinta: ma quanto sono “utili” questi cretini. Ieri, per esempio, i telegiornali hanno dato notizia, con grande enfasi, di alcune svastiche apparse in un cimitero ebraico, non mi ricordo dove, nell’Italia del nord, comunque. Ora c’è da chiedersi: ma chi è il deficiente, il provocatore, il mentecatto che, proprio nel momento opportuno, va a disegnare svastiche in un cimitero ebraico? A quali fini, per quali motivi, e soprattutto a chi giova? Giova indiscutibilmente al varo di Leggi e provvedimenti sempre più repressivi che, altrimenti, solleverebbero una certa resistenza e opposizione da parte di tutti. Ma attenzione, c’è di più: quella Legge, cosiddetta “antinegazionista”, in realtà espressamente antirevisionista, non soltanto sarà finalizzata ad impedire la ricerca storica sull’Olocausto, ma avrà una elasticità tale, per la quale si potranno costruire analogie, sillogismi e teoremi, estendendone la portata ad un ventaglio di proibizioni e punizioni, tutte finalizzate a cancellare la memoria storica del passato. Teniamo presente tutto questo, perchè tempi tristi e difficili, molto difficili, ci attendono. La futura società che hanno prefigurato è oramai chiara: una società globalizzata in ogni ambito sociale, nutrita, anzi mal nutrita con prodotti ogm, dalle devastanti conseguenze per la salute dei popoli, ma dai grandi guadagni per le multinazionali che li producono, dove ogni interesse, ogni risparmio, ogni valore deve essere devoluto al sistema bancario, il vero padrone di tutto. Una società multietnica, possibilmente bisexy, immersa nella alienazione di bisogni virtuali, controllata da un continuo lavaggio dei cervelli applicato dal Grande Fratello. QUIRINO 1

lunedì 19 novembre 2012

LA PACE IN PALESTINA UNA META MOLTO LONTANA

Per duemila anni la Palestina è stata il segno della concordia e della tolleranza tra le varie confessioni ed etnie (unica parentesi i turbolenti Regni Crociati del Medio Evo). Poi, nel 1948 a seguito di una semplice deliberazione dell’ONU a carattere consultivo, in spregio al diritto internazionale e al principio dell’autodeterminazione dei popoli (la popolazione non fu neppure interpellata con un referendum), le potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale decisero di donare metà della Palestina agli ebrei con il pretesto che questi erano originari di quei luoghi e come forma di risarcimento per aver subito la persecuzione hitleriana (in realtà per lavarsi la coscienza a costo zero scaricandolo sui palestinesi). Gli ebrei, preso possesso di quelle terre, cacciarono con la forza chi le abitava da sempre: 900mila palestinesi furono costretti ad abbandonare le loro case per fare posto ai nuovi arrivati e 530 villaggi furono completamente distrutti per impedirne il ritorno e molti altri sostituiti con insediamenti per soli ebrei. Neppure i cimiteri, luoghi sacri per i musulmani, furono risparmiati. Lo spirito colonialista e di supremazia razziale del movimento sionista è condensato nello slogan, poi ripreso dal futuro Primo Ministro Israeliano Golda Meir: « Una terra senza un popolo, un popolo senza terra». In queste parole si coglie la totale indifferenza ebraica verso la popolazione palestinese che non viene neppure considerata, come se non esistesse. Forti dell’appoggio incondizionato degli americani e, inizialmente, anche dei sovietici, gli ebrei si abbandonarono a vere e proprie stragi e atti di puro terrorismo come il massacro del villaggio palestinese di Deir Yassin del 9 aprile 1948 ad opera del gruppo terrorista IRGUM (i cui leader politici erano Begin e Shamir) che causò la morte di 254 tra vecchi, donne e bambini(1) e l’assassinio, avvenuto il 16 settembre dello stesso anno, del mediatore delle Nazioni Unite, lo svedese Folke Bernadotte, per aver denunciato le violenze sioniste. L’omicidio fu rivendicato da un gruppo terrorista di cui facevano parte due futuri ministri israeliani, Cohen e Friedman. Anche da parte palestinese non mancarono atti di terrorismo a cui corrispondevano rappresaglie dure, indiscriminate e sproporzionate. Le successive guerre arabo-israeliane si conclusero con la netta sconfitta della coalizione araba, disorganizzata e male armata, e con l’occupazione di altre consistenti porzioni di territorio palestinese. Il nuovo Stato d’Israele si è subito caratterizzato in senso rigidamente razziale e confessionale essendo aperto ai soli ebrei osservanti. Una legge, quella definita “Del Ritorno”, consente alle autorità religiose ortodosse di esercitare un controllo ferreo sui matrimoni ebraici, sono infatti vietate le unioni tra gli ebrei e i non ebrei (i cosiddetti “gentili”), sui divorzi, sulle conversioni e sulle sepolture. Ai palestinesi è negata qualunque possibilità di farvi parte. Lo stesso impedimento riguarda gli ex-ebrei, ossia persone che pur essendo di discendenza ebraica professano una religione diversa dal Giudaismo: anche a loro è impedito di stabilirsi in Israele. I pochi arabi che hanno potuto continuare a vivere in quella che una volta era la loro terra devono essere riconoscibili (le loro auto, ad esempio, hanno una targa diversa); è sì permesso loro di eleggere dei rappresentanti al Parlamento, ma in quanto piccola, innocua e assimilata minoranza. Il concetto di società multietnica che tanto piace in Occidente e sbandierato anche in Italia come massima espressione di democrazia, libertà e pluralismo in Israele non solo non è neppure contemplata, ma è addirittura vietata per legge. Una sentenza della Corte Suprema israeliana del 1989 stabilisce che alle elezioni sono esclusi partiti politici o persone che prevedono nel loro programma uno Stato multi-culturale o che mettano in discussione il principio dello Stato per Soli Ebrei (SSE). Israele non ha una Costituzione e questo consente ai suoi tribunali di agire con libertà ed arbitrio nelle sentenze, soprattutto a carico dei non ebrei. Con queste caratteristiche definire Israele un “avamposto di democrazia in Medio Oriente”, come spesso si sente affermare, mi pare quanto meno azzardato. Quella che è in atto da sessant’anni in Palestina è una lotta tra due popoli per il diritto all’esistenza. La differenza è che mentre gli israeliani, armati dall’America, hanno uno dei più potenti eserciti del mondo con tanto d’armamenti nucleari che possono usare a loro piacimento, i palestinesi possono disporre solo di rudimentali razzi a breve gittata forniti dall’Iran (che fanno più rumore che danni) e del proprio corpo. A ciò si aggiunge la diplomazia occidentale guidata dall’America che, con il suo atteggiamento sempre giustificativo a favore d’Israele anche quando commette atti disumani come il bombardamento di abitazioni civili e l’omicidio di politici palestinesi, non lavora certo per la pace. Circondata da mura alte 10 metri, controllata dal mare dalle navi da guerra e dal cielo dai satelliti spia a sostegno di un rigido embargo esteso anche ai prodotti di prima necessità che impedisce perfino il transito degli aiuti umanitari, la striscia di Gaza è stata trasformata dagli israeliani nel più grande campo di concentramento che la storia ricordi. Sfido chiunque a resistere in quelle condizioni senza farsi saltare i nervi e vorrei vedere una qualsiasi persona assistere alla morte del proprio figlio per la mancanza di medicinali o sopravvivere senza elettricità e con l'acqua razionata senza provare odio e meditare vendetta verso gli artefici di questa ingiustizia(2). Il fine ultimo degli israeliani è quello di costringere i palestinesi ad abbandonare la loro terra per realizzare il sogno biblico della "Grande Israele", come preconizzato dal fondatore del movimento sionista Theodor Herzl e confermato dal padre della Patria David Ben Gurion che, in un discorso del 1937, dichiarò senza mezzi termini: «Noi dobbiamo espellere gli arabi e prenderci i loro posti». Non a caso Israele è l’unico Paese al mondo che si rifiuta di definire formalmente i suoi confini. Condanniamo pure gli attentati suicidi dei palestinesi, i razzi di Hamas e le bandiere con la stella di David bruciate in piazza dai manifestanti, ma se veramente amiamo la pace non possiamo sorvolare sulle responsabilità dell’Occidente americanizzato e continuare a giustificare la politica repressiva d’Israele. Il popolo ebraico ha subito per duemila anni ogni sorta di persecuzione, ma questo non deve essere usato dal governo israeliano come pretesto per la sua politica repressiva e disumana contro un popolo, quello palestinese, che ha una sola colpa: quella di amare la sua terra e di non volerla abbandonare. QUIRINO1