mercoledì 16 ottobre 2013

LA CRISI ITALIANA.......

LA CRISI ITALIANA UNA PALUDE da bonificare Per uscire dalla crisi che ci attanaglia dobbiamo ripartire dall’aprile 1945. Lo storico Rutilio Sermonti, ne L’Italia nel XX Secolo, scrive: «La risposta poteva essere una sola. Perché le democrazie volevano un generale conflitto europeo, quale unica risorsa per liberarsi della Germania - formidabile concorrente economico - e soprattutto dell’Italia. Questo è necessario comprendere se si aspira alla realtà storica: soprattutto dell’Italia». Perché Sermonti attesta questo? Ce lo spiega il grande scrittore irlandese Bernhard Shaw, che nel 1937 così si esprimeva: «Le cose da Mussolini già fatte lo condurranno, prima o poi, ad un serio conflitto con il capitalismo». Bernhard Shaw non dovette attendere molto per la conferma di quanto attestato. Infatti, i Paesi capitalisti dovevano far presto: le idee di Mussolini si stavano espandendo e minacciavano il potere mondiale dei Rockefeller, dei Rothschild e degli altri 250-300 in parte oscuri personaggi in grado di fissare e imporre le linee guida in politica e, quindi, nell’economia di tutti i Paesi del mondo: la politica guidi l’economia, non viceversa. Zeev Sternhell, ebreo, professore di Scienze Politiche presso l’Università di Gerusalemme, col saggio La terza via fascista (Mulino, 1990), afferma: «Il Fascismo fu una dottrina politica, un fenomeno globale, culturale, che riuscì a trovare soluzioni originali ad alcune grandi questioni, che dominarono i primi anni del secolo». Sono proprio le soluzioni sociali ad attrarre maggiormente il giudizio del professore di Scienze Politiche: «Il corporativismo riuscì a dare la sensazione a larghi strati della popolazione che la vita fosse cambiata, che si fossero dischiuse delle possibilità completamente nuove di mobilità verso l’alto e di partecipazione». In queste ultime osservazioni possiamo intravedere le cause che portarono, da lì a pochi anni, alla «svolta» drammatica. La cosa appare più chiara leggendo un’altra considerazione sempre di Sternhell: «Il potere dello Stato incide sulla mobilitazione dell’economia nazionale, sulle possibilità di programmazione economica su larga scala e favorisce l’unità morale e l’unanimità spirituale delle masse». La lotta politica a livello mondiale si sposta sul binomio: civiltà del lavoro e civiltà del denaro. E fu la Seconda guerra mondiale. La risposta italiana alla grande crisi economica mondiale del 1929 fu che, nel giro di poco tempo, l’Italia di quegli anni realizzò una tale mole di lavori pubblici, come non avvenne in nessun altro Paese; e senza ruberie. Giorgio De Angelis scrive: «L’onda d’urto provocata dal risanamento monetario non colse affatto di sorpresa la compagine governativa e provvedimenti di varia natura attenuarono, ove possibile, i conseguenti effetti negativi soprattutto nel mondo della produzione (...). L’opera di risanamento monetario, accompagnata da un primo riordino del sistema bancario, permise comunque al nostro Paese di affrontare in condizione di sanità generale la grande depressione mondiale sul finire del 1929 (...)». Il professor Gaetano Trupiano, ha affermato: «Nel 1929, al momento della crisi mondiale, l’Italia presentava una situazione della finanza pubblica in gran parte risanata; erano stati sistemati i debiti di guerra, si era proceduto al consolidamento del debito fluttuante con una riduzione degli oneri per interessi e le assicurazioni sociali avevano registrato un sensibile sviluppo». I ministri finanziari del Governo Mussolini e, ultimo in ordine di tempo fra questi, Antonio Mosconi, riuscirono a far sì, che negli anni fra il ‘25 e il ‘30, i conti nazionali registrassero attivi da primato. Vennero intraprese iniziative che ancor oggi non mancano di stupire per la quantità e la qualità dei meccanismi messi in opera e per il successo da esse ottenute. Oggi, sembra una menzogna; ma fu realtà. Lo Stato affrontò la crisi congiunturale spaziando «dalla politica monetaria alla politica creditizia, dalla politica finanziaria alla politica valutaria, dalla politica agricola alla politica industriale, dalla politica dei prezzi alla politica dei redditi, dalla politica fiscale alla politica del commercio estero, dalla politica previdenziale alla politica assistenziale» (Sabino Cassese). In conseguenza di ciò, lo Stato italiano divenne titolare di una parte delle attività industriali. Seguendo questa impostazione, la cura fu quella più appropriata per il superamento della crisi, anche se comportò sacrifici: per sostenere le industrie a fine 1930 si rese necessaria una riduzione dei salari dell’8 per cento circa per gli operai; per gli impiegati la riduzione variò, a seconda dell’entità delle retribuzioni, dall’8 al 10 per cento. Il sacrificio venne, però, quasi subito compensato dalla contrazione dei prezzi delle merci, per cui il valore reale d’acquisto ammortizzò in breve tempo l’entità del taglio. Sacrifici affrontati dal popolo con disciplina e partecipazione. Nel periodo di maggior ristagno l’attività del Governo si svolse con due diversi interventi. Uno, immediato, indirizzato ad assistere le famiglie più colpite dalla grande crisi: taglio degli stipendi e dei salari; riduzione delle ore lavorative per evitare, il più possibile, il licenziamento; l’introduzione della settimana lavorativa a 40 ore (operazione che comportò il riassorbimento di 220 mila lavoratori); la diminuzione dei fitti; una forte riduzione delle spese nei bilanci militari; opere di assistenza diretta, come distribuzione di buoni viveri e centri di distribuzione di pasti. Il secondo, tendente ad incrementare gli investimenti statali nelle grandi opere. Ci riferiamo alle Fiere e attività similari. Non ultima, quella di Napoli, la Mostra Triennale delle Terre Italiane d’Oltremare: concepita per far sì che ogni tre anni Napoli fosse al centro degli scambi economici e culturali fra l’Africa e l’Europa, una iniziativa che oggi sarebbe ancor più valida per fronteggiare il fenomeno della migrazione. Per rimanere a Napoli, ricordiamo la realizzazione degli ospedali collinari (il XXIII Marzo, poi intitolato a Cardarelli; il Principe di Piemonte, ribattezzato Monaldi; la Stazione Marittima; la Stazione di Margellina; il nuovo rione Carità con i palazzi delle Poste, delle Finanze, della Provincia e dei Mutilati; il Collegio Costanzo Ciano per 3 mila ragazzi; la nuova sede del Banco di Napoli; il palazzo dell’INA, e numerosi rioni di case popolari. Mussolini e i suoi collaboratori erano consapevoli dell’importanza che queste istituzioni potevano esercitare nel settore commerciale: negli scambi, nelle contrattazioni e nel rilevante stimolo che tutto ciò poteva esercitare per la produzione e acquisto di beni, anche di origine lontana o di lontana destinazione. «Sotto il dominio fascista, ci viene detto, l’Italia subì un rapido sviluppo con l’elettrificazione dell’intero Paese, lo sviluppo e il fiorire delle industrie dell’automobile e della seta, la creazione di un moderno sistema bancario, la prosperità dell’agricoltura, la bonifica di notevoli aree agricole (...), la costruzione di una larga rete di autostrade ecc. (...). Il rapido progresso dell’Italia dopo la Seconda guerra mondiale e il fatto che oggi è già in marcia verso uno sviluppo intensivo capitalistico sarebbe impensabile senza i processi sociali iniziati durante il periodo fascista». Così Mihaly Vajda scrive in The Rise of Fascism in Italy and Germany. Sembra incredibile, ma l’ulteriore sferzata di dinamismo alla politica mussoliniana venne impartita proprio per battere la grande crisi. Così, mentre negli anni Trenta tutto il mondo era soggiogato dalla crisi economica, in Italia iniziò un’attività, con interventi in tutti settori della vita economica, sociale, urbanistica e produttiva. I benefici si proietteranno nei decenni a venire. Dalla politica agraria, ispirata e pilotata da Arrigo Serpieri, nacquero le leggi sulla bonifica e le trasformazioni agrarie. Queste opere furono affidate all’Opera Nazionale Combattenti (ONC), creata nel 1917 per il reinserimento dei reduci nella vita civile. Grazie ai reduci ed alle loro famiglie, l’Operazione Bonifica, iniziata nel basso Veneto ed in Emilia, si allargò alle altre zone d’Italia interessate: dalle Paludi Pontine a Maccarese, l’Isola Sacra, Acilia, Ardea, la Sardegna, Metaponto, Campania, Puglie, Calabria, Lucania, Sicilia, Dalmazia. La terra strappata alle paludi portò a nuovi posti di lavoro: strade, acquedotti, reti elettriche, borghi rurali ed ogni genere di infrastrutture. La bonifica di Serpieri diventò strumento di progresso economico. Questi miracoli venivano seguiti e apprezzati anche all’estero, tanto da muovere l’ammirazione e la curiosità di tecnici europei, americani e sovietici. Le Corbusier, il maestro francese del movimento moderno d’architettura, venne a Roma e in una conferenza tenuta all’Accademia d’Italia, elogiò i pregi delle nuove città. Non dimentichiamo le grandi opere realizzate in Somalia, Eritrea e in Libia. Si devono alla instancabile attività di Carlo Lattanzi la bonifica e la messa a coltura, in Libia, di ampie aree a grano, oliveti, vigneti, frutteti ecc. su oltre 2.600 ettari di terreni aridi e sabbiosi. Armando Casillo (dal cui lavoro abbiamo attinto alcuni dati) riporta i risultati delle bonifiche e delle leggi rurali: 5.886.796 ettari bonificati, tra il 1923 e il 1938. E un confronto è necessario fra il periodo pre-fascista, quando in 52 anni nell’intera Penisola furono bonificati appena 1.390.361 ettari. Né va dimenticata la sconfitta della malaria, causa di centinaia di morti ogni anno. Un altro dato significativo sulla qualità tecnica raggiunta nel settore agricolo dal nostro Paese è la comparazione fra i 16,1 quintali di frumento per ettaro prodotti nelle terre bonificate e la produzione statunitense, considerata la migliore, ferma a 8,9 quintali/ettaro. «L’attribuzione ai braccianti di poderi nelle zone di bonifica è il fiore all’occhiello della politica rurale fascista. Come si vede, traguardi che cambiarono il volto dell’Italia» (Armando Casillo). La spinta impressa da Mussolini alle opere del Regime si indirizza sempre a nuove mete. Si può ben dire che negli anni della bonifica integrale «tutto il territorio italiano era un’enorme, bruciante, palpitante, esaltante fucina di opere, azionata da braccia, da idee, da inesauribile volontà di cambiare il volto a un’Italia rurale che aveva dormito per secoli» (Armando Casillo). In piena congiuntura economica mondiale la fantasia produttiva italiana era riconosciuta ovunque. Il 22 dicembre 1932, il deputato laburista inglese Lloyd George rimproverava il suo Governo di inerzia e lo spronava a risolvere i problemi della disoccupazione, proponendo di «fare come Mussolini nell’Agro Pontino». Ancora più incisivamente il giornale Noradni Novnij di Brno, il 15 dicembre 1933, scriveva: «Con successo infinitamente superiore a quello annunciato per il suo piano da Stalin, in Russia si è fatta un’opera di costruzione, ma in Italia si è compiuta un’opera di redenzione, di occupazione. All’altra estremità dell’Europa si costruiscono enormi aziende, città gigantesche, centinaia di migliaia di operai sono spinti con folle velocità a creare un’azienda colossale per il dumping [rifiuti, N.d.R.] che dovrà portare la miseria a milioni di altri Paesi europei. Mentre invece in Italia il piano Mussolini rende una popolazione felice e nuove città sorgono in mezzo a terre redente, coperte ovunque di biondi cereali». I consensi non riguardavano soltanto i metodi usati dal Governo italiano per superare la crisi congiunturale, ma partivano dagli anni precedenti. Lo svedese Goteborgs Handels il 22 marzo 1928 scriveva: «Non si può davvero non restare altamente sorpresi di fronte al lavoro colossale che il Governo fascista viene svolgendo con una incredibile intensità di energia: amministrazione pubblica radicalmente cambiata, ordinamento sociale posto sulla nuova base della organizzazione sindacalista, trasformazione dei Codici, riforma profonda della istituzione e un tipo di rap¬presentanza nazionale affatto nuovo negli annali del mondo». Il londinese Morning Post del 29 ottobre 1928: «L’opera del fascismo è poco meno che un miracolo». Il prestigioso Daily Telegraph del 16 gennaio 1928: «II fascismo non è soltanto uno sforzo verso un nuovo sistema politico, ma un nuovo metodo di vita. Esso è perciò il più grande esperimento compiuto dall’umanità dei nostri tempi». Altri dati rivelano che quanto si scriveva nel mondo era ben meritato. Nel 1922 i braccianti erano oltre 2 milioni: nei primi anni del ‘40 il loro numero si ridusse a soli 700 mila unità, gli altri erano divenuti proprietari, mezzadri o compartecipi di piccole o grandi aziende. Nella sola Sicilia i proprietari terrieri passarono dai 54.760 del 1911 a 222.612 del 1926. Questo è un ulteriore dato che può far meglio comprendere lo sforzo compiuto in quegli anni. Possiamo quindi dire che l’obiettivo politico fu, in gran parte, centrato. Questo avveniva mentre nel mito marxista la collettivizzazione delle terre risultava fallimentare e affogata nel sangue e nella disperazione. Mussolini al contadino del kolchoz di Lenin o Stalin contrapponeva il contadino italiano compartecipe della produzione. Nacquero così, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia, nuovi ceti di piccoli proprietari, superando i motivi della lotta di classe e creando lo «strumento di pace e di giustizia sociale». Attratto dal grande rumore sollevato dal miracolo italiano, il Mahatma Gandhi, dopo essersi fermato nel corso di un viaggio a Parigi e in Svizzera, volle passare per l’Italia. Sostò a Milano, quindi a Roma, dove si fermerà l’11 e il 12 dicembre 1930. In quest’ultimo giorno Gandhi fu ospite, a Villa Torlonia, del Duce, appagando, così, il desiderio di incontrare il capo del Fascismo. Intervistato poi dal Grande Oriente, organo della comunità italiana al Cairo, (9 settembre 1931), rilasciò le seguenti dichiarazioni: «Tra tutte le Nazioni che dopo la guerra, tendono con sforzi vigorosi, ad affermarsi e a creare una realtà, l’Italia occupa un posto privilegiato e distinto. Perciò Mussolini che è l’animatore di questo risveglio, ha tutta la mia ammirazione». Per concludere; dato che da decenni siamo colpiti da coma cerebrale, porrò una semplice domanda: Dato che i principi dell’economia non cambiano nel corso degli anni (ho scritto i principi dell’economia), e dato che negli anni ’30 dell precedente secolo l’allora crisi congiunturale fu superata con grande successo, per vincere la crisi che ci attanaglia in questi anni, perché non utilizzare gli stessi principi oggi? Qualora ci fossero dei vincoli, sorti in questi anni, non si potrebbe trovare il modo di sospendere, anche temporaneamente detti vincoli per riesaminarli, eventualmente più avanti? QUIRINO 1

S. ANNA DI STAZZEMA.

La “vera” verità sull’eccidio di S.Anna di Stazzema. I responsabili della rappresaglia. Testimonianza di un uomo che ha vissuto di persona quella realta in quel periodo e in quel posto…aggi ancora in vita. A Stazzema eravamo circa 1.000 sfollati della pianura della Versilia per sfuggire ai bombardamenti terroristici americani sulla popolazione indifesa. Ivi attendevamo che <> il fronte per fare ritorno ai nostri casolari. Fra i quali c’ero anch’io, con mio padre , ancora dolorante per le ferite riportate durante un mitragliamento aereo a Forte dei Marmi, con mia madre e mia. sorella Mio fratello non era con noi perché aveva lasciato il lavoro per accorrere volontario nel battaglione allievi ufficiali < della R.S.I… La nostra nuova sistemazione era tutt’altro che accogliente, escluse alcune eccezioni.Per il mangiare era un dramma. Ai più fortunati, in cambio di denaro, oro, orologi, catenine, fedi nunziali, veniva data un po’ di farina di castagne; i nullatenenti morivano di fame. Veniamo all’Eccidio. Da Stazzema tutti i giorni passavano militari tedeschi diretti a S. Anna e riposavano sui gradini esterni della chiesa parrocchiale. Questo non garbava ai partigiani locali, veniva considerata una sfida nei loro confronti. La popolazione, preoccupata per le eventuali ritorsioni e rappresaglie, si raccomandava verso gli stessi che non intentassero azioni di alcun tipo. I partigiani rispondevano rassicurando che, per tali casi, avrebbero pensato loro a difendere la popolazione.. Il 10 agosto avvenne quello che in molti temevano. I partigiani spararono a quattro tedeschi che riposavano sui gradini esterni della chiesa “Madonna della neve”. Due rimasero uccisi, gli altri riuscirono a fuggire. La reazione dei tedeschi non tardò: la mattina dopo il paese fu accerchiato dai soldati e gli uomini tra i quali mio padre, furono messi al muro per essere fucilati. Provvidenziale fu l’intervento di una donna sfollata professoressa di francese che riuscì a comunicare il lingua tedesca con il comandante tedesco, al quale spiegò spiegando la verità, sostenendo l’estraneità e la viva preoccupazione della popolazione. L’ufficiale tedesco, che anche grazie all’intervento del prefetto di Lucca, si convinse a non effettuare quella rappresaglia vedendo le salme dei suoi soldati portate all’interno della chiesa e cosparse di fiori, ma ordinò l’abbandono del paese entro 24 ore. Tornarono i partigiani che cercarono di calmare l’ira dei paesani e degli sfollati, e dissero loro di trasferirsi a S.Anna, dove era la loro roccaforte: li li avrebbero difesi e entro 24 sarebbero tornati a Stazzema. Mio padre non credette alle loro parole. Usciti dal paese e giunti ad un bivio con il cartello che indicava due deviazioni, una per S.Anna, e l’altra per Forte dei Marmi, mio padre, nella sua saggezza, scelse di andare a Forte dei Marmi, fra i tedeschi, così facendo ci salvò la vita. A Forte dei Marmi nessuno ci face del male. La rappresaglia, oltre per i fatti di Stazzema, fu provocata da precedenti stillicidi rimasti impuniti. A S.Anna successe come a Stazzema (escluso i morti ). Spararono contro i soldati tedeschi dalle finestre del paese e fuggirono. La rappresaglia tedesca fu sanguinaria e spietata contro vittime innocenti : oltre 560 morti. Il paese contava 260 abitanti, le rimanenti 300 persone erano gli sfollati di Stazzema che avevano creduto alle promesse fatte dai partigiani e li trovarono la morte. Il paese di S.Anna si trova in collina, dalla pianura di Forte dei Marmi, dove eravamo ricoverati, si vedeva ma non ne conoscevamo le cause, qualcuno lo immaginava. Terminata la guerra non cessò l’odio e il rancore della popolazione di Stazzema verso i partigiani che avevano provocato loro tanti guai, danni e morti. I partigiani giustizieri dei tedeschi, per oltre un decennio si guardarono bene di ritornare al paese. Per venti l’eccidio fu taciuto dalla resistenza, in seguito fu ricordato a loro uso e consumo. Ricordo che mia madre in quei giorni era molto inquieta, aveva sognato mio fratello che la invocava e quattro cavalli morti. Il 12 Agosto 1944, a Ponte Crenna, nell’Oltrepò Pavese, mio fratello cadde con altri tre commilitoni in una imboscata partigiana. Anche il rabbino Toaff volle dare la sua versione dei fatti di S.Anna e dichiarò che la rappresaglia fu effettuata perché gli abitanti del paese avevano nascosto i gli ebrei, ( cosa assolutamente falsa ). Io all’poca avevo 13/14 anni, oggi sono ancora vivo… V.N. PONTEDERA 19/05/2013

CONGO...!!!

CONGO…CONGO…MI RICORDA QUALCOSA! FRA LE TANTE DISGRAZIE CREATE DALLA POLITICA ITALIANA, LA NON MENO GRAVE E’ LA DISSENNATA POLITICA DELL’IMMIGRAZIONE, CONCEPITA PER BEN DEFINITIVI MOTIVI. Sì, nominare il Congo mi ricorda qualcosa di brutto, di orribile. No, anche se ci sono delle affinità non ha nulla a che vedere con Piazzale Loreto ad aprile del 1945. Qualcosa di simile, però, ci si può intravedere. Ricordate l’espressione del capo dei partigiani Ferruccio Parri che definì le scene di quella famigerata Piazza: ? Quindi, chissà, boh… Un po’ di storia. Congo o Zaire, ex Congo Belga, o Repubblica Democratica del Congo. Ė uno Stato dell’Africa equatoriale, come detto: già Congo Belga, capitale Kinshasa (ex Leopolville). Come era di moda in quegli anni il Belgio concesse precipitosamente l’indipendenza il 30 giugno 1960, precipitosamente, ho scritto, in quanto l’ex Congo Belga, dove quasi nulla era stato fatto per creare una elite politica locale, sprofondò nel caos e dal caos alla guerra civile il passo è breve. Le prime vittime furono i bianchi sottoposti ad atroci massacri. Per provare a riportare ordine nel paese e certamente per salvaguardare gli interessi dei grandi investitori europei – e non solo europei – un primo passo fu compiuto da Moise Ciombè, considerato il capo dello Stato indipendente del Katanga, sostenuto dalla Union Minière e da un esercito di mercenari europei. Ma il caos e con questo la guerra civile si sviluppò con maggiore violenza causando migliaia di morti. Le Nazioni Unite, per far fronte alla tragedia umanitaria (così avevano detto) decisero di intervenire onde evitare che la popolazione civile dovesse continuare a pagare uno scotto ancora più sanguinoso. Anche l’Italia, era ovvio, partecipò a queste missioni con nostri velivoli da trasporto merci, comunemente battezzati vagoni volanti. Breve premessa: Kindu è una cittadina della Repubblica Democratica del Congo con circa 20 mila abitanti appartenente alla provincia di Kivu. La fregatura per alcuni nostri ragazzi fu che la cittadina era munita di aeroscalo. Infatti, la mattina del sabato 11 novembre 1961 due equipaggi italiani al comando del Maggiore Amedeo Parmeggiani e da Giorgio Gonelli pilotando due C-119 (vagoni volanti) carichi di rifornimenti ebbero la sventura di atterrare all’aeroscalo di Kindu. Gli aerei italiani non si dovevano fermare: l’ordine era di scaricare la merce e ritornare alla base, il tutto nella stessa giornata. Ma chiesero e ottennero di fermarsi il tempo necessario per mangiare qualcosa e questo li fregò. Infatti i soldati congolesi del posto, al comando del generale Mobutu, in realtà attendevano il lancio di numerosi paracadutisti dell’esercito nemico di Ciombé, scambiarono l’equipaggio italiano per i mercenari del loro avversario. I soldati congolesi entrarono nella mensa, l’equipaggio italiano fu catturato e il loro medico, tenente Francesco Paolo Remoti tentò la fuga, ma fu barbaramente ucciso. Successivamente gli altri dodici militari italiani, dopo aver subito un selvaggio pestaggio, furono trucidati a raffiche di mitra. La folla inferocita che aveva assistita al pestaggio e all’uccisione, si scagliò sui corpi martoriati e ne fece scempio a colpi di machete. La notizia dell’accaduto arrivò in Italia con notevole ritardo, esattamente il 16 novembre, ben cinque giorni dopo i fatti. E solo dopo due mesi fu ritrovato quel che rimaneva dei loro corpi; erano stati sepolti in due fosse comuni nel cimitero di Tokolote, un piccolo villaggio nei pressi del luogo dell’eccidio. Solo l’11 marzo 1962 i caduti di Kindu arrivarono all’aeroporto di Pisa. Solo grazie ad una sottoscrizione pubblica, a loro ricordo fu eretto un Sacrario dove oggi riposano i poveri resti. Ecco di seguito quanto ha osservato Giovanni Fusco: . Sento il dovere di riportare i nomi dei 13 aviatori uccisi a Kindu: sottotenente pilota Onorio De Luca, 25 anni; maresciallo motorista Filippo Di Giovanni, 42 anni; sergente maggiore Armando Fabi, 30 anni; sottotenente pilota Giulio Garbati, 31 anni; capitano pilota Antonio Mamone, 28 anni; sergente Martano Marcacci, 27 anni; maresciallo Nazzareno Quadrumani, 42 anni, sergente Francesco Paga, 31 anni; maggiore pilota Amedeo Parmeggiani, 43 anni; sergente maggiore Silvestro Possenti, 40 anni; tenente medico Francesco Paolo Remoti, 29 anni; sergente maggiore Nicola Stigliani, 30 anni. Mi chiedo: perché quello scempio oggi non viene ricordato? Erano tredici militari italiani trucidati e, stando alle testimonianze, cannibalizzati (mi si lasci passare l’orribile termine). Allora, perché oggi quel massacro viene oscurato? Io ho un dubbio; voi amici lettori non avete le stesse (almeno) perplessità? E se questo fosse qualcosa più di dubbi o perplessità, non pensate che sia un ulteriore affronto ai tredici poveri ragazzi che in quell’11 novembre 1961 persero la vita nel modo sopra ricordato? QUIRINO1

LA MAGISTRATURA

MAGISTRATURA INETTA? MAGISTRATURA POLITI-CIZZATA? MAGISTRATURA CORROTTA? BAH! DECIDETE VOI! Ė da qualche anno (anzi da decenni) che queste accuse sulla magistratura vengono erogate da destra e sinistra. Diamogli uno sguardo noi che non siamo né di destra, né di sinistra. Ho ricevuto tempo fa una mail che ho stampato, ma non so per quale motivo, mi è rimasto solo il testo, senza, cioè l’indicazione di chi me la spedì. Tuttavia, dato l’interesse che ha suscitato in me, me ne avvalgo. Leggo che Vincenzo Galgano, capo della Procura della Repubblica di Napoli . Sono parole gravissime che danneggiano l’immagine di una Istituzione che dovrebbe (sì, dovrebbe) essere al di sopra di ogni giudizio negativo e sospetto. Ma andiamo avanti. Antonio Ingroia (ve lo ricordate?), quald’era PM alla Procura di Palermo, ha definito politicizzata (se lo dice lui…!) la sentenza della Consulta , che ha dato ragione al Presidente Giorgio Napolitano nel conflitto con la Procura di Palermo sulle intercettazioni delle sue telefonate col Senatore Nicola Mancino, e la Cassazione ha aperto nei suoi confronti un provvedimento per illecito disciplinare perché “ha vilipeso la Corte Costituzionale e leso il prestigio dei suoi componenti”. E ancora. Gustavo Zagrebetsky, ex Presidente della Corte Costituzionale, disse ad Antonio Ingroia, che ha resa pubblica la confidenza. . Ci si chiede se è ammissibile in un Paese, una volta culla del Diritto, che un ex Presidente della Corte Costituzionale neghi la terzietà dei suoi colleghi e denunci comportamenti che minano la loro credibilità. Ed ora, cos’è la “terzietà”? Dal Treccani: . Ci si chiede inoltre: perché la Consulta non ha adottato alcun provvedimento disciplinare a carico di Ingroia? Ma non è finita: Piero Ostello sul Corriere della Sera dell’11 maggio 2013, ha lasciato, tra le altre, queste straordinarie dichiarazioni: . L’autore di molte di queste osservazioni è Gerardo Mazziotti (premio internazionale di giornalismo civile), il quale termina con questo giudizio: . In merito a quest’ultima osservazione di Gerardo Mazziotti, si può consigliare la lettura del libro “Le toghe rotte” , scritto dal procuratore aggiunto alla Procura di Torino edito da “Chiare Lettere”. Dove, fra l’altro possiamo leggere: <(…). Per capire perché accade tutto questo è necessario sapere che cosa succede nelle aule dei tribunali e come si lavora nelle Procure. Ecco un libro che finalmente lo racconta. Se si supera lo choc di queste testimonianze offerte da vari magistrati e avvocati, sarà poi più facile valutare le esternazioni in materia di giustizia che dal politico di turno, di volta in volta imputato, legislatore, opinion maker, e spesso contemporaneamente tutte queste cose. Accompagna le testimonianze un testo illustrativo ad uso dei cittadini per capire come funziona la giustizia (la pena, i gradi di giudizio, le indagini, il processo, ecc.)>. Per provare a capire se la Magistratura nata dopo la Resistenza sia realmente (come da titolo) inetta, politicizzata, corrotta, farò seguire una analisi documentata di come operava la Magistratura ai tempi del Male Assoluto. QUIRINO 1

L' AMERICA

AMERICA. un paese che pretende di controllare i destini del mondo. L’America è comunemente conosciuta come la patria della libertà, come la nazione che più di ogni altra ha contribuito all’affermazione della democrazia nel mondo. Il suo modello di società è considerato dai suoi estimatori come l’unico in grado di assicurare a tutti pace e benessere e di stabilire un nuovo ordine mondiale basato sugli ideali di concordia e fratellanza. Ma è proprio così? Siamo proprio sicuri che questa immagine sia reale e non un quadro dipinto ad arte? Partiamo dalle origini. Nel nuovo mondo venivano spediti direttamente dalle carceri europee i delinquenti di ogni risma, gli ergastolani, gli emarginati e gli avventurieri pronti a tutto. Puritani fanatici e vogliosi di rinverdire i fasti della Santa Inquisizione, cattolici perseguitati dai protestanti, ebrei vittime dei pogrom, affamati, asociali e spostati di ogni sorta. Da tutto ciò nasce la "civiltà" americana. Ha mosso i primi passi massacrando i pellerossa per sottrarre loro la terra, lasciandoli morire di fame, di inedia e di alcolismo dopo averli ristretti in riserve sempre più piccole e prive di pascoli, la loro unica fonte di nutrimento. E’ diventata potente con il lavoro degli schiavi africani strappati con la forza alla loro terra e trattati alla stregua di animali domestici su cui esercitare diritto di vita e di morte. Si sono dovuti attendere gli anni '60 per porre fine alla vergognosa segregazione razziale in vigore in molti Stati USA. Durante il secondo conflitto mondiale l’America ha massacrato milioni di civili inermi nei bombardamenti a tappeto delle città tedesche. Ad Amburgo come a Dresda perirono, bruciati vivi dagli ordigni incendiari o mitragliati dal volo radente dei caccia, oltre duecentomila civili, per poi completare l’opera con le bombe atomiche gettate su due delle più popolose città del Giappone. I prigionieri tedeschi della Wehrmacht, ragazzi di 15 e 16 anni, rinchiusi nei campi di concentramento americani e inglesi venivano volutamente lasciati morire di fame, di malattie e di stenti. Costretti a scavarsi con le mani delle buche dove ripararsi dal freddo o dal sole cocente, sotto lo sguardo indifferente degli aguzzini alleati pronti ad uccidere al primo segno di insofferenza. A guerra finita i “liberatori” si girarono dall’altra parte quando i partigiani massacravano i fascisti o presunti tali, familiari compresi. Quando riempivano le fosse comuni con i corpi straziati dei giovani soldati e delle ausiliarie, spesso violentate prima di essere barbaramente uccise, arresisi dopo il 25 aprile. Nel dopoguerra, dopo averci distrutto le città con i bombardamenti terroristici del ’44, l’America, con il piano Marshall, ha investito in Italia grandi capitali per farci diventare una sua docile e redditizia colonia. Al riguardo si parla tanto degli aiuti americani, ma si dimenticano gli enormi contributi, veramente disinteressati, provenienti dall’Argentina. Ogni giorno navi stracolme di ogni cosa hanno fatto la spola tra il Paese di Evita Peron e l’Italia, ma di questo nessuno ne parla. In Vietnam per stanare i Vietcong gli americani non esitarono a bruciare con le bombe al napalm interi villaggi con le persone dentro. Tali operazioni venivano cinicamente chiamate “disinfestazioni”. Negli anni settanta e ottanta l'America ha sostenuto le più sanguinose dittature militari sia in sud America, dove la CIA ha organizzato e finanziato i più cruenti colpi di stato, sia in Grecia e in Turchia con i regimi dei colonnelli. Salvo poi disconoscerli dopo che ebbero fatto il lavoro sporco o essere diventati poco utili ai suoi disegni geopolitici. L’Iraq, per giungere ai giorni nostri, era uno Stato sovrano, retto da una dittatura non tanto diversa da quella che possiamo trovare nei Paesi islamici amici dell’America come l’Arabia Saudita e gli Emirati arabi, e sicuramente meno feroce di quella cinese con la quale l’amministrazione americana (e l’Italia) intrattiene ottimi rapporti d'affari. Le varie etnie e religioni coesistevano pacificamente (l’ex vice di Saddam Aziz era cristiano) anche grazie al pugno di ferro del Rais. Con gli americani non c’è più un edificio in piedi, neppure i luoghi di culto sono risparmiati e lo spettro della guerra civile è sempre alle porte. Per non parlare dell’economia divenuta totalmente dipendente dall’America dopo che questa si è impadronita del suo petrolio. Sotto le macerie delle loro abitazioni, distrutte dalle bombe a stelle e strisce, sono morte 160 mila persone e almeno 30 mila bambini; un’intera città, Falluja, è stata bombardata giorno e notte con ordigni al fosforo che hanno bruciato vivi e corroso migliaia di uomini, donne, vecchi e bambini; ai posti di blocco i soldatini di Obama dal grilletto facile uccidono decine di persone al giorno (come è successo al nostro povero Calipari). Nelle carceri americane dei paesi occupati (vedi Guantanamo) la tortura non è una novità. In Afghanistan, per rimanere nel campo delle guerre preventive, con l’occupazione è ripresa con vigore la produzione di oppio che serve, beffardamente, a finanziare la resistenza talebana e a drogare la gioventù americana. L’America conserva un poco invidiabile primato, quello di essere la prima produttrice, esportatrice e utilizzatrice al mondo di armi di distruzione di massa, una vera e propria democrazia a mano armata: dalle bombe atomiche gettate sul Giappone, che ancora oggi mietono vittime a causa delle radiazioni, alle armi chimiche utilizzate in Vietnam e Iraq e per finire agli ordigni all’uranio utilizzati nei Balcani, causa primaria delle morti per cancro tra la popolazione e tra gli stessi soldati, molti dei quali italiani. Il business degli armamenti rappresenta una voce primaria del bilancio USA: le armi americane sono esportate in tutto il mondo, ovunque vi siano focolai di guerra. Nei paesi poveri scarseggiano il cibo e le medicine, ma non le pallottole made in Usa. Non è un caso che negli ultimi vent’anni la fame del mondo invece di diminuire è aumentata ed è tutt’ora in costante crescita, come la diffusione delle armi. Le guerre si fanno per vendere armi" afferma il Santo Padre riferendosi alla smania d'intervento in Siria del presidente americano Obama (premio Nobel per...la pace). Venuta meno la minaccia sovietica ci saremmo aspettati un progressivo disimpegno militare americano in Europa, invece la Nato (leggi America) ha mantenuto sul nostro suolo il suo enorme apparato bellico (113 basi, di cui alcune nucleari, oltretutto mantenute con i nostri soldi). A quale scopo? Per difenderci dalla Svizzera o per rimarcare, anche militarmente, il nostro stato di impotenza e di dipendenza dagli USA? Anche in campo economico l'America si esprime al meglio condizionando con la sua spregiudicata finanza le economie dei popoli. Infatti le due più spaventose crisi, quella del 1929 e quella attuale, hanno avuto origine a Wall Street, dalle operazioni speculative della borsa americana. La cultura e lo stile di vita americani sono intrisi di violenza: un’arma non si nega a nessuno, neppure agli adolescenti (vedi le ricorrenti stragi nelle scuole e nei campus universitari). Nei sobborghi delle città americane, all’ombra degli sfavillanti grattacieli, l’emarginazione, la violenza e l’alcolismo sono di casa. La stessa cinematografia è imperniata sui gangsters, sui cow boys che uccidono gli indiani e sulla forza bruta del potere. Non è un caso che l’America è oggi l’unico paese del mondo occidentale a praticare la pena di morte. Come nei tanto osteggiati Paesi islamici e nelle peggiore dittature comuniste e militari. L’America è sicuramente un grande Paese sotto il profilo economico e, soprattutto, militare, ma dal punto di vista umano e civile non ha proprio nulla da insegnarci. E rattrista vedere i nostri politici e intellettuali di destra, ma anche di sinistra, guardare con simpatia e ammirazione all’America, come se noi europei, maestri di cultura e civiltà, noi europei, che abbiamo insegnato al mondo a camminare, non fossimo in grado di sviluppare un nostro modello di società, ancorato ai nostri valori di umanità e di giustizia sociale. EUROPA SVEGLIATI!!! QUIRINO1

IL PIU' PULITO HA LA ROGNA

Qui il più pulito ha la rogna ANCORA IL RICORDO DI UN GRANDE UOMO ANCHE SE PARTIGIANO Ė necessaria una premessa. Debbo richiamare alla memoria un mio precedente articolo apparso su Nuovo Fronte nel novembre 2000, dal titolo “Francesco Montanari, partigiano, ma grande uomo”. Ecco il testo: . Il mio articolo così continuava: . Sin qui i fatti più salienti di quanto scrissi nel novembre del 2000. Sennonché ad aprile del 2003 ricevetti una comunicazione a firma di Livio Valentini, il quale in merito a quanto scrissi affermò che, secondo lo scrittore Gian Paolo Pansa, non sarebbe stato Montanari a lanciare quella frase. Così il signor Livio Valentini continuava: . Confermo tutto quel che scrissi, a parte che Francesco Montanari (“Cincino”) non fu deputato comunista . lo attesta, ma questo, ai fini del gesto del capo partigiano, ha poca importanza. La lettera di Livio Valentini dimostra, una volta di più, la capacità dei comunisti di nascondere la verità. Infatti il Montanari ricordato da Pansa doveva essere Otello Montanari (non Francesco, tanto meno “Cincino”). Francesco “Cincino” Montanari aveva 76 anni, era nato a Ravenna, ma abitava a Cesena. La notte del 22 febbraio 1996 salì su una Ritmo acquistata pochi giorni prima e la parcheggiò in San Mauro in Valle (una frazione di Cesena) dove si dette fuoco. Il suo corpo fu divorato dalle fiamme, ma rimasero intatte alcune copie del suo libro dal titolo: “Qui il più pulito ha la rogna”, libri che aveva posto accanto alla macchina prima dello stoico gesto. A maggior documentazione riporto uno stralcio di una lettera inviata a Il Giornale il 15 marzo 1997 dal signor Italo Tassinari di Padova che aveva fatto parte della stessa brigata partigiana di Montanari: . Questa è la storia, per dovere di spazio molto concisa, di un grande uomo che è un onore averlo avuto come avversario; non nemico. Perché poche cose ci dividevano da Lui. QUIRINO 1

UN SALTO QUA' E UNO... A CASO.

UN SALTINO QUA E UNO LA’… A CASO, INSOMMA Sì, ripeto e chiedo: insomma esiste il Male Assoluto? La mia risposta, per quanto a mia conoscenza, è affermativa. Esiste e come se esiste, solo che i paraculetti ci hanno indicato quello che tale non è! Questo articolo mi è stato ispirato dopo aver letto che il signor Andrea Signorelli, ex presidente dell’Inps percepisce una pensione di circa 90 mila Euro al mese. E non è il solo; infatti di super pensionati – delle così dette pensioni d’oro – in Italia ce ne sono circa 100 mila che ci costano intorno ai 13 miliardi di Euro l’anno. Questo è almeno quanto mi risulta. Allora, come dal titolo, facciamo un saltino qua e là… e iniziamo con quello che sembrerebbe una favola. L’Onestà: Sino a fine novembre 1943, Mussolini rifiutò ogni appannaggio non solo a titolo personale, ma anche per le spese della sua segreteria. Il Ministro Pellegrini-Giampietro (un fenomeno di Ministro di cui spero di trattare il profilo quanto prima) in una memoria pubblicata su Il Candido del 1958, ha scritto: . Infatti a guerra terminata la moglie del Male Assoluto, data l’indigenza in cui si trovavano lei ed i figli, chiese allo Stato italiano (quello nato dalla Resistenza) la pensione del marito, in quanto, bene o male, era stato capo del governo per più di vent’anni. Ebbene l’Inps si trovò in difficoltà nell’assegnare la pensione in quanto il marito aveva sempre rifiutato qualsiasi emolumento. Questo ricordo è dedicato ai vari Andrea Signorelli e ai centomila suoi Gemelli. L’Efficienza; nel ricordo del tratto Salerno Reggio Calabria: nel 1937, XV E.F. in Libia, la Via Balbia (la strada nazionale costiera che ancora congiunge Amseat, sul confine con l’Egitto, alla frontiera con la Tunisia), fu costruita in 18 mesi. In Etiopia la Addis Abeba-Massaua, una strada di 1.600 chilometri, con i mezzi tecnici di allora, fu realizzata in 18 mesi. Vogliamo parlare dei miracoli compiuti in quel periodo? Come ad esempio la costruzione in Italia e nelle colonie di decine e decine di nuove città? In uno dei prossimi articoli ne parlerò; in ogni caso chi volesse approfondire subito può leggere il mio libro “Benito Mussolini nell’Italia dei miracoli” così potrà saggiare l’entità del “male che fece il Male Assoluto”. Stando a quanto riportato nella trasmissione televisiva Quinta Colonna del 17 settembre 2013, sembra che la Presidentessa della Camera desideri (e, come si sa, i desideri di una Signora sono sacri) la sua macchina blue ed avrebbe puntato gli occhi su una BMW, il cui costo, sempre stando a quanto riportato nella suddetta trasmissione, sia di circa 70 mila Euro: mi pare di ricordare che al Male Assoluto la Lancia, in occasione dell’uscita del modello Lancia Ardea, gli avesse donato un modello; ma questi rifiutò il regalo. Solo dopo ripetute insistenze della fabbrica, l’auto fu accettata, ma solo dopo averla pagata. E la pagò con i soldi suoi. Avete sentito quanti proprietari (padroni) di fabbriche chiudono in Italia, per trasferirsi all’estero? Colpa vostra signori lavoratori, o colpa dei vostri padri o nonni. Perché? Facciamo un altro saltino. Per chiarezza ricordiamo che la Socializzazione proposta dal Male Assoluto faceva sì che i lavoratori partecipassero alla vita dell’azienda e alla partecipazione degli utili. In altre parole i lavoratori divenivano compartecipi e comproprietari dell’azienda. Ciò premesso, molto brevemente perché tornerò quanto prima sull’argomento, vediamo quanto ha scritto Bruno Tomasich su “L’altra storia”: . Per ripagare il notevole contributo avuto dai grandi industriali, i comunisti che controllavano appieno il CLNAI, come primo atto ufficiale, addirittura il 25 aprile 1945, proprio mentre si continuava a sparare e mentre era iniziato "l'olocausto nero", ripeto, come primo atto ufficiale ci fu l'abolizione della "Legge sulla Socializzazione". E l’operazione fu condotta proprio dal padre di Enrico Berlinguer. Non lo sapevate? D’altra parte fu legittima difesa, in quanto i Berlinguer erano ricchissimi proprietari terrieri. La prova? Eccola con i nomi: i comitati di liberazione dell’antifascismo sono accusati di connivenza con la grande finanza e i grandi industriali da precise documentazioni, come riporta l’archivio di Riccardo Gualino (Cartella n° 20 – Partiti Resistenza 1944-1945), fra queste, di rilievo la lettera datata 26 ottobre 1944 del Reparto Fronte clandestino di Resistenza che ringrazia per il contributo di 3 milioni di lire. Altre 250.000 lire furono ricevute dalle brigate partigiane del Piemonte. C’è una lettera (13 luglio 1945) con la quale si ringrazia per il sostegno finanziario fornito ad Aldo Garosci in data 26 marzo 1945. I Gualino, come scrive Bruno Tomasich, . E ancora, riporto sempre dall’interessantissima fonte: . Insomma, la lotta proletaria aveva a capo un super-banchiere: Alfredo Pizzoni. Insomma, caro lavoratore sei stato nfregato, ma non maledire tutti, d’altra parte per la sorte della guerra la Resistenza fu assolutamente ininfluente; si distinse solo per le stragi di uomini, donne e bambini (sì, tanti bambini colpevoli di essere figli di fascisti, o supposti tali), stragi avvenute, eroicamente, a guerra terminata. Mi riprometto di tornare sull’argomento Socializzazione quanto prima. Chiudo citando le ultime parole del Male Assoluto: . Interpretando il pensiero del soggetto del presente articolo, termino esortando i lavoratori a non permettere che le fabbriche vengano chiuse e trasferite all’estero: occupatele e socializzatele. 1) Ricordiamo che Nicola Bombacci fu uno dei tre fondatori nel 1920 del Partito Comunista d’Italia. Bombacci dopo un periodo di vita nel Paradiso bolscevico rientrò inorridito in Italia e volle morire assassinato accanto a Mussolini, perché, come disse: sarà Mussolini a portare il socialismo in Italia. QUIRINO 1