venerdì 28 dicembre 2012

DALL'AFGANISTAN ALLA SIRIA.

Dall'Afghanistan alla Siria: Il nuovo teorema delle guerre dell'Occidente Il fiasco militare, le perdite umane e le spese pesantissime delle campagne militari degli Usa e dei suoi alleati in Afghanistan ed Iraq hanno indotto i teorici della guerra in Occidente alla creazione di un modello di guerra che potremmo chiamare di "quarta generazione"; un modello messo in atto in Libia e che attualmente viene usato ai danni della Siria. Nella guerra di quarta generazione il confronto militare non è diretto almeno nella fase iniziale, ed il grosso della guerra è svolto invece da una operazione pesante di guerra psicologica che si realizza con un diretto attacco alle menti dei membri del fronte nemico, soprattutto ai danni dei suoi leader politici. In pratica si tratta di rompere la volontà politica dell'avversario. Se nel tipo di guerra di terza generazione, si cercava di occupare direttamente il territorio nemico, nel nuovo modello l'obbiettivo centrale è il "regime change" nel paese aggredito. La guerra di "quarta generazione", se condotta correttamente taglia fuori anche la popolazione del paese aggredito; per comprendere la ragione facciamo un esempio. In una guerra come il Vietnam, la popolazione si univa in guerra contro l'aggressore straniero; nella guerra di quarta generazione però la diffusione di menzogne e la guerra psicologica crea divisione tra governo e popolazione e per questo la gente non ha il ruolo di prima. In pratica uno degli obbiettivi della guerra psicologica a base della guerra di quarta generazione è mettere contro il governo la gente, indebolire gli strumenti di controllo del governo, incoraggiare la gente alla disobbedienza ed al disordine. La guerra quindi assume un aspetto irregolare e si usa a tratti l'opposizione interna e a tratti quella al di fuori del paese; si cerca di creare una sinergia tra le minacce diplomatiche che via via si vanno a formare dall'estero e le azioni di disobbedienza nella nazione. Il modello è molto crudele perchè solo usando il potere dei media e impiegando il minimo di risorse militari i governi vengono destabilizzati. L'esempio lampante di questa nuova strategia di guerra occidentale è la Siria. La guerra in Siria è iniziata con proteste pacifiche alle quali l'amministrazione Assad rispose con un pacchetto di riforme. In questa situazione però le nazioni occidentali ed alcuni paesi arabi, che forse da tempo aspettavano tale occasione, hanno iniziato a mettere in atto il piano di guerra, seguendo il modello della quarta generazione dei conflitti. Attraverso il confine con la Turchia migliaia di terroristi armati sono stati introdotti nella nazione e persino le forze di al Qaeda sono state impiegate per destabilizzare il paese. Nel mirino di questa operazione, in primo luogo, sta il sistema coordinato ed efficiente della Siria, ed il potere del governo centrale. Questo potere per circa 60 anni è stato il principale ostacolo alla realizzazione del progetto sionista di controllare una zona che va dal Nilo all'Eufrate. Un elemento che in questa guerra è stato sfruttato ad arte dai nemici della Siria è il pericoloso, violento e disumano odio settario che sta nel wahabbismo, una pericolosa deriva dell'Islam sunnita che ha la maggiore espressione nella monarchia saudita, in al Qaeda ed in realtà come quella dei talebani afgani. Altro elemento che le guerre di quarta generazione prevedono è l'impiego delle tecnologie all'avanguardia. Per la Siria possiamo ricordare le agenzie di intelligence occidentali che forniscono ai ribelli informazioni e foto satellitari sugli spostamenti delle forze siriane; ciò per non parlare dei sistemi di comunicazione, delle armi ed ecc... Contemporaneamente a tutto ciò tutti i paesi coinvolti nella guerra, in questo caso la Siria, portano avanti anche una azione diplomatica pesante. I ribelli vengono riconosciuti come rappresentanti della nazione nemica, naturalmente viene usato anche lo strumento delle sanzioni. La parte conclusiva della guerra poi può essere anche l'intervento militare diretto e persino in questa parte si cerca di usare la tecnologia dei droni assassini, per ridurre al minimo le perdite. Di solito ci sono potenze contrarie a questa fase finale che poi alla fine vengono "comprate" con adeguati incentivi politici o economici. In generale si può dire che nel modello di guerra di "quarta generazione" dell'Occidente, si cerca di ridurre al minimo l'uso diretto e palese della forza militare e ciò viene riservato solo per la fase finale, per dare il colpo di grazia al nemico già indebolito con tutta una serie di iniziative che non comportano, per gli aggressori, spese eccessive e soprattutto perdita di vite umane. La guerra è basata soprattutto su azioni di carattere psicologico, menzogne dei media, pressioni diplomatiche, sanzioni e sostegno a gruppi terroristici e/o a forze di opposizione armata. QUIRINO 1

venerdì 21 dicembre 2012

ITALYOTI & VIDEOTI.

ITALYOTI & VIDEOTI La videodipendenza degli Italyoti non è una novità. Sbaglia chi, volendo fare politica, non ne tiene conto. La videodipendenza segue regole precise di condizionamento mentale che prescinde dall'apporto della razionalita' o da suoi brandelli. Questa premessa è necessaria per capire che la videodipendenza può giocare brutti scherzi. il caso beppe grillo è emblematico. Dopo un'ascesa fulminante, dovuta alla sua eccessiva presenza nelle videotrasmissioni alternative ( internet), è bastata una picolissima battuta d'arresto, probabilmente suffragata da "offerte gratuite", per gettare un'ombra di dubbio sui fragili creduloni. e pur tenendo presente che la critica di grillo al sistema è quanto mai valida. E' bastato che un fesso qualunque contestasse l'"assenza di democrazia" nel Movimenti 5 stelle perchè tutto quello che Grillo ha predicato per oltre un decennio andasse nel dimenticatoio.E tutto ciò perchè il messaggio televisivo è sempre carico di emotivita' (lo sa molto bene Berlusconi...) e quindi è l'emotività che la fa da padrona in questo tipo di comunicazione.Occorre peraltro ricordare che il messaggio televisivo è sempre mescolato ad altri messaggi emotivi. Lo spiego meglio: il videota che segue un programma di comunicazione politica ( peraltro sempre più drammatizzato o spettacolarizzato), non segue sempre lo stesso canale ma, automaticamente, fa lo zapping. E qui cade sempre in altri programmi che sono film a corto o lungo metraggio, ma dove la comunicazione emozionale ha il maggior risalto. Ecco pertanto che nel ricordo del videota il messaggio "serioso" si mescola automaticamente a quello "ludico-emotivo". cambiando registro, riscontriamo due esempi: 1) 13 milioni di videoti hanno assistito alle pagliacciate di Benigni. Il colpo del Sistema è pertanto riuscito. E' la Chiesa che fa scuola anche in questo caso. I Videoti non tengono conto che questa costituzione posticcia non è stata mai applicata per mancanza di elementi ( manca la libertà geopolitica, culturale e quindi politica) ma subiscono le trovate del pagliaccio. Similmente chi assiste alle roboanti manifestazioni della religione cattolica si immedesima nel rito ignorandone l'essenza e soprattutto la Storia, che è agghiacciante. 2) Il presidente di questa pseudorepubblica dei Cachi ha fatto un motu proprio esentando l'esimio Mister Monti dal chiedere le firme per la sua presentazione quale candidato presidente di questa pseudo Camera di camerieri dei bankieri. Poichè il videota capisce solo ciò che vede nel piccolo schermo,egli è indotto a votare quella faccia di palta. Ricordiamo che anche un altro "piacione" ( piace ai Cardinali...) ebbe l'esenzione dalla raccolta di firme per la sua candidatura al Parlamento Europeo: Rutelli. la conclusione è abbastanza banale: chi intende scendere in campo deve tenere presente l'aspetto visivo. Trovare vie alternative di stampo visivo. proporre la propria immagine visivamente. Il resto viene da se'. E ricordiamoci di spegnere ( spegnere!!! non cambiare canale) quando Napolitano sproloquiera' il 31 dicembre. QUIRINO 1

venerdì 30 novembre 2012

LA GRANDE TRUFFA "I.N.P.S."

La grande truffa Quando nel 1933 fu creato Istituto Nazionale della Previdenza Sociale il suo scopo era quello di fornire delle prestazioni previdenziali differite, al lavoratore che avesse versato contributi per un certo numero di anni fissato dalla legge ed avesse raggiunto un’età anch’essa stabilita dalla legge; raggiunti questi due traguardi il lavoratore veniva collocato a riposo e poteva affrontare gli anni di vita che gli restavano godendo di un vitalizio che lo Stato gli garantiva. In sostanza chi lavorava versava dei contributi che erano suoi e che andavano a formare una somma, la quale gestita dall’ente, poteva permettere l’erogazione delle somme necessarie. Qui va chiarito subito un concetto importante: ogni lavoratore aveva, ed ancora ha, una sua specifica posizione personale, versava delle somme che sono sue e delegava l’ente a gestirgliele al meglio per garantirgli il suo vitalizio futuro. Nel 1933 era stato posto in essere un tacito patto generazionale per cui ognuno versava delle somme che servivano alla erogazione di prestazioni pensionistiche, i vecchi come i nuovi lavoratori: i patti erano chiari, si lavorava un certo numero di anni, si arrivava ad un massimo di età ed al raggiungimento di quel traguardo, l’ente erogava la pensione. Questo senza intaccare il capitale, ma solo con gli interessi che esso produceva: in sostanza quello che ogni istituto di assicurazioni fa con chi sottoscrive qualsiasi tipo di polizza vita. Niente di trascendentale o di complicato: la mutualità creava la forza per fare tale tipo di cose. Per sgombrare il campo da altre leggende metropolitane, è bene aggiungere che nel 1939, vennero create anche le gestioni assicurative separate contro la disoccupazione, la tubercolosi e creati gli assegni familiari. Nel 1968 viene riconosciuto ai cittadini bisognosi che hanno compiuto 65 anni di età, una pensione che soddisfi i primi bisogni vitali. Nasce anche la Cassa Integrazione guadagni straordinaria. Tutto ciò sempre e comunque con versamenti ritirati dalla busta paga dei lavoratori dipendenti. In pratica si garantivano delle prestazioni ai lavoratori che prendevano corpo dai versamenti obbligatori dei medesimi, certo non venivano riconosciuti degli interessi montanti sulle somme versate, né si poteva scegliere, come nelle polizze assicurative, tra vitalizio o capitale: quest’ultimo restava sempre di pertinenza dell’ente previdenziale, anche per garantire, con una sana e prudente amministrazione, l’erogazione delle prestazioni. Insomma si rinunciava a qualcosa di proprio, per favorire anche coloro che in futuro dovevano andare in pensione: tutto sommato una cosa equa. Con il passare degli anni tutta questa linearità è svanita: è vero che l’allungamento della vita ha creato un prolungamento delle prestazioni, ma dobbiamo anche dire che i salari sono aumentati e, cosa non trascurabile, il livello dei contributi alzato di molto; il sistema dovrebbe essere equilibrato. Oggi sembra che tutto ciò si sia vanificato! Pare che i contributi non siano più delle somme di proprietà di chi li versa, ma siano una tassa che lo Stato richiede ai suoi cittadini e che questi, quasi quasi, pretendano prestazioni superiori a quanto sia possibile erogare e che le generazioni future non si sa se potranno usufruire di tali prestazioni. In corso d’opera, intere generazioni che avevano firmato un contratto di lavoro si sono viste, attraverso degli interventi legislativi discutibili, cambiare questi diritti acquisiti, per cui dovranno lavorare quaranta anni o più, andare in pensione più tardi ed avere delle prestazioni più basse. E tutto ciò in base a quali principi? I fondamenti che avevano creato la previdenza non esistono più: dalla certezza di un futuro sereno alla fine del periodo di lavoro si è passati ad una totale ed assoluta mancanza di una benché minima base di sicurezza. Le somme versate non sono sempre di proprietà di chi le versa? Sembrerebbe di no e che lo Stato sia diventato il proprietario indebitamente di esse e che, a causa del perenne stato di crisi, sia in grado di negare per legge qualsiasi tipo di diritto acquisito: ma ciò per tutti? Assolutamente no! Certe categorie sono privilegiate ed intoccabili: i magistrati, ad esempio, stabiliscono che certe leggi per loro non valgono. E cosa poi dire dei parlamentari o dei ministri? Loro sono «la casta degli Intoccabili», i sacrifici li facciano i fessi: certe somme che le portino i paria che lavorano. Loro no di certo! Che dire poi del famoso TFR (trattamento fine rapporto) anche questo pagato con esborso oneroso detratto dalla busta paga: da una mensilità (di solito l’ultima percepita dal lavoratore) per ogni anno lavorativo corrispondente grosso modo all’ottanta per cento del versato, si è passati ad erogare all’avente diritto solo l’ottanta per cento di questo ottanta per cento: altra colossale truffa! Ma andate a vedere se i manager di Stato percepiscono tali somme o se addirittura il TFR non venga concordato e lo Stato eroghi somme milionarie a questi figuri che spesso portano al quasi fallimento delle società loro affidate. Ed i politici? Meglio calarci sopra un pietoso velo! A rendere tutto più incerto e fumoso ci si è messa anche l’Europa che spinge i governi a saccheggiare la previdenza ed a rendere le prestazioni pensionistiche sempre più scarne e magre. Ma non basta ed il sacco continua. In questo ultimo periodo si parla sempre di più di un intervento operato sul settore pensionistico che riguarda tutta una serie di lavoratori, sia del settore pubblico che di quello privato, che hanno versato i loro contributi previdenziali ad enti differenti (1). La logica ed il buon senso vorrebbe che i vari contributi pagati e trattenuti dalle buste paga di questi lavoratori venissero cumulati in quanto il soggetto contributivo ha comunque svolto una mansione lavorativa ed ha accumulato un monte anni di contributi previdenziali. A questo va aggiunto che in passato la normativa prevedeva la ricongiunzione dei medesimi contributi presso l’ultimo ente assicurativo con cui il lavoratore stava versando le sue spettanze contributive. Tale operazione in linea di massima non era onerosa: quindi un lavoratore dipendente che fosse stato soggetto a contributi INPS regolarmente versati sia da lui che dal datore di lavoro, si vedeva riconosciuti per intero gli anni e mesi di contribuzione versata, presso l’ultimo ente. Se si fosse verificata una carenza o mancanza di contribuzione, solo in questo caso per non avere periodi scoperti e quindi non validi ai fini del calcolo di anni validi ai fini pensionistici, il dipendente poteva chiedere il riscatto dei periodi privi di effettiva contribuzione. Nel 2010 il ministro Sacconi, nel quadro di una serie di misure urgenti richieste dall’Europa per la stabilizzazione finanziaria e la competitività economica, presentava al Parlamento, che l’approvava in data 30 luglio 2010, la legge numero 122 che convertiva in legge il decreto numero 78 del 31 maggio 2010 L’articolo 12 septies della suddetta legge prevede che la ricongiunzione dei contributi assicurativi sia onerosa, cioè a dire, che pur in presenza di contributi regolarmente versati, il dipendente per ottenerne il ricongiungimento deve sottostare ad un calcolo effettuato con le stesse tecniche del riscatto: quindi, per esempio, un lavoratore che volesse ricongiungere quattro anni di contributi versati presso l’INPS, con domanda presentata all’INPDAP, vedrà presentarsi, da parte di quest’ultimo ente, un salato conteggio, perché dovrà versare di nuovo tutti i contributi, come se nulla fosse stato effettuato, nel periodo in questione. Ciò è giusto in presenza di richiesta di riscatto (per esempio gli anni universitari) dove nessun contributo è stato versato e quindi è necessario effettuare i versamenti tenendo conto dell’età in cui viene presentata la domanda, degli anni mancanti al pensionamento, dello stipendio percepito al momento della presentazione della domanda e quant’altro. Il tutto richiede la definizione di parametri di riferimento ottenuti con complicati calcoli attuariali. Ma nel caso specifico di ricongiunzione i contributi già versati che fine hanno fatto? Né è giustificabile la preoccupazione che i soggetti potessero scegliere di ricongiungere all’INPS i contributi e quindi poter usufruire di una età più bassa per il collocamento a riposo, in quanto di fatto la regola del riscatto oneroso vale per il ricongiungimento verso qualsiasi ente. Tutto ciò a partire dal primo luglio 2010, quando, invece, la legge è stata approvata in data 30 luglio quindi con effetti retroattivi, previsti soltanto per questo argomento specifico. Come vedete, ci troviamo di fronte ad un’aberrazione giuridica: la legge in generale produce sempre i suoi effetti ex nunc mai ex tunc, questo per il concetto della certezza del diritto, un soggetto non può essere dotato di capacità divinatorie e nel momento in cui pone in essere dei comportamenti legalmente concludenti (2), non può assolutamente essere considerato in mala fede se non esiste nessun tipo di normativa che vieti un tale tipo di comportamento. Quindi qui siamo in presenza di un approccio al problema del tutto truffaldino da parte del legislatore: né è possibile addurre come giustificazione che ci troviamo in presenza di un tipo di normativa di carattere finanziario o fiscale. In pratica il buon ministro Sacconi ha imposto ai soggetti di ripagare per intero di nuovo la propria quota e quella del datore di lavoro per poter usufruire della validità di anni di lavoro ai fini pensionistici. Un altro dubbio sorge in merito: ma i precedenti contributi che fine hanno fatto? Forse che sono spariti oppure sono stati utilizzati da lorsignori per altri scopi? Secondo un articolo apparso su Libero di domenica 25 novembre a firma di Sandro Giacometti apprendiamo che secondo la Ragioneria dello Stato per risolvere questo problema dei ricongiungimenti onerosi occorrerebbero 2,4 miliardi di euro, mentre secondo l’INPS sarebbero sufficienti solo 1,4 miliardi di euro, per la Commissione Lavoro alla Camera la cifra sarebbe di 900 milioni di euro spalmati su dieci anni. Strana cosa: ma i contributi non erano stati regolarmente versati? Quindi queste somme erano già in possesso dei vari enti previdenziali: in base a quale alchimia ora diventano dei debiti da colmare con degli esborsi da parte dei soggetti interessati, oppure con un intervento da parte del governo, quindi con nuove tasse? Non occorrono ulteriori versamenti per coprire un minor introito. Tali somme da esborsare da chi sono state inventate? Il governo deve solo riportare la situazione quo ante alla promulgazione di questa insensata legge: qui i soggetti non devono riscattare nulla, la loro posizione contributiva deve soltanto essere spostata da un ente ad un altro con una semplicissima operazione contabile: fine dei discorsi. Tutto ciò se ci si trova in presenza di posizioni contributive identiche: quindi con contributi sufficienti a coprire il dovuto come se il dipendente avesse sempre lavorato con l’ultimo ente previdenziale. Se il lavoratore non volesse ricongiungere presso un solo ente tutti i suoi contributi, può tranquillamente, rebus sic stanti bus, ricorrere alla «totalizzazione dei periodi assicurativi» come da decreto legislativo numero 42 del 2 febbraio 2006; in questo caso la domanda di pensionamento va presentata all’ente presso il quale presta servizio e la pensione viene calcolata con il sistema «pro rata», ovvero ognuna delle casse previdenziali corrisponde la sua quota di pensione. La pensione viene erogata dall’ultimo ente assicurativo, il quale poi si fa rimborsare la quota spettante dall’altro, in base al sistema contributivo vigente. I diritti acquisiti sfumano, i patti sociali vengono vanificati o calpestati. Sempre di più si fa strada, nella mente della gente, una domanda: ma tutte queste enormi masse di denaro che fine fanno? Come vengono investite, quanto rendono? (3). Chi strategicamente decide come impiegarle? Segreti latomici, misteri, alchimie finanziarie che nessuno ha il diritto di conoscere. Nessuno ha il diritto di sapere o di chiedere un rendiconto agli amministratori sulla gestione di questi miliardi di euro: e ci mancherebbe che per caso sono soldi nostri? Azzardatevi a sospendere il pagamento dei contributi e vedete che «ragionevoli interessi», quali more, previste dalla legge, vi verranno applicate da questi sciacalli. Se poi loro indebitamente escutono delle somme non dovute si apre «una voragine nei conti dell’INPS» ed i pennivendoli di regime ci somministreranno ancora nuove e massicce dosi di ansia e di inesatte notizie. QUIRINO 1

mercoledì 28 novembre 2012

DOVE SI VUOLE ARRIIVARE......

DOVE SI VUOLE ARRIVARE? Il ritorno degli opposti estremismi. Per le manifestazioni e i cortei, oggi in programma a Roma, auguriamoci che non si verifichino incidenti, soprattutto quelli di coloritura “neofascismo – antifascismo”. Ma se così invece dovesse malauguratamente accadere, allora nessuno ci toglierà la convinzione che tutto è stato programmato, che c’è chi vuole riesumare vecchie tematiche antagoniste per inconfessati scopi. Non c’era infatti alcun motivo perchè al corteo preannunciato da Casapound si anteponesse un “presidio” antifascista. Ma quale “presidio”, quale “antifascismo”? cosa c’è da “presidiare”, chi lo ha progettato ha ben altre intenzioni. Chiare e preveggenti le parole con le quali il direttore di Rinascita ha chiuso un suo articolo dell’altro ieri: <>. In previsione di una guerra o di una rivolta di popolo Ma a nostro avviso, questa volta, a differenza degli anni di piombo, c’è molto di più che un rigurgito di opposti estremismi al tempo adatto ad agevolare la conduzione del sistema da parte dei governi DC. Questa volta c’è all’orizzonte quello che certe “centrali” di potere sanno bene: la possibilità di una guerra internazionale che potrebbe avere risvolti apocalittici. O in alternativa il coinvolgimento dell’Italia in altre sporche manovre militari in medioriente. Questa di una futura, ma neppure troppo futura, guerra è un ipotesi, seppur molto concreta, tenuta in ben conto, ma il drastico e progressivamente crescente aumento della povertà e del disagio sociale del nostro popolo, già in atto per volontà delle misure imposte dai banksters, è invece una realtà, una realtà foriera di forti tensioni sociali. In prospettiva di eventi del genere, tutto deve essere sotto controllo: ogni opposizione interna, ideale o politica, deve essere dissolta, vanificata. Per dissolvere, vanificare ogni opposizione interna è necessario che ci siano provocazioni, incidenti che possano dare il pretesto ad interventi drastici sul piano poliziesco e decisivi su quello giudiziario. Affinchè questo avvenga, chi di dovere sa benissimo a chi si deve rivolgere per fargli organizzare certi incidenti. La stampa di sistema poi farà il resto. La catena di montaggio della strategia della tensione è sempre la stessa: determinate “centrali” danno l’input che viene recepito da “chi di dovere”, e “chi di dovere”, ha sempre per le mani, attraverso le pieghe di certi Servizi, persone che, a loro volta, sono attivi in determinati gruppi politici o sociali. Il gioco è fatto, resta solo da attendere la giusta occasione. Dove si vuole arrivare con il cosiddetto “antisemitismo”. Guardate cosa è accaduto a Roma in occasione della partita Lazio – Tottenham. Prima, incidenti e aggressione ad un gruppo di tifosi inglesi, per motivazioni ancora non chiare, poi un minoritario coro provocatorio allo stadio tipo Judent Tottenham, rivolto ai tifosi del Tottenham ivi presenti. In conseguenza di questo si è addirittura mosso il Jewis Congress che ha chiesto all’Uefa, l’ente calcistico europeo, di espellere la S. S. Lazio dalle competizioni europee. Un richiesta assurda e pretestuosa, perchè l’aggressione ai tifosi inglesi in un pub di Campo de Fiori, esula dal tifo dei laziali, la Lazio non c’entra nulla, anzi ha contorni oscuri e di ancor più oscura matrice, tanto è vero che due presunti aggressori arrestati risultano addirittura ultrà della Roma. Quindi al massimo si potrebbe pensare ad un gruppo organizzato, composto di elementi eterogenei, preposto ad atti violenti di ambigua matrice. Il piccolo e breve coro poi allo stadio, che un altrettanto piccolo gruppo di persone, ha cercato di intonare all’Olimpico durante la partita e che neppure il delegato dell’Uefa sembra aver sentito, appare in tutta evidenza come un’altra provocazione per dare poi il pretesto alla stampa di criminalizzare tutto. Cosa puntualmente avvenuta. Cosa c’è veramente dietro la legge antirevisionista Un ultima considerazione: Da notizie di agenzia, sembra che il presidente della comunità israelitica romana Riccardo Pacifici, abbia chiesta al Prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro di revocare il corteo di oggi di Casapound, in quanto gli appartenenti a questo movimento si definirebbero “i nuovi fascisti del millennio”, A prescindere che questo termine “fascisti” affibbiato a destra e manca ci sembra del tutto arbitrario, la richiesta di Pacifici ha però un carattere simbolico: qui si vuole simbolicamente proibire tutto ciò che possa in qualche modo avere un riferimento, un aggancio, vero o presunto che sia, anche ideale con un certo passato. E’ indubbio che c’è da tempo un tentativo in atto, di cancellare totalmente la “memoria” del passato, il valore di certe idee, ideali, simboli di chi ha combattuto una guerra del sangue contro l’oro. E’ a questo che con il tempo vogliono arrivare. La prefigurazione di un Nuovo Ordine Mondiale e mondialista, richiede tutto questo. La stessa Legge, o meglio le modifiche di legge, che in sordina, stanno preparandosi a votare al parlamento, e che si può prevedere, con grande clamore poi le annunceranno, magari intorno al “giorno della memoria”, il 27 gennaio prossimo, e magari dopo che qualche provocatore, qualche deficiente, ovviamente manovrato, avrà compiuto qualche gesto demenziale, dal tenore “antisemita”. La madre dei cretini è sempre incinta: ma quanto sono “utili” questi cretini. Ieri, per esempio, i telegiornali hanno dato notizia, con grande enfasi, di alcune svastiche apparse in un cimitero ebraico, non mi ricordo dove, nell’Italia del nord, comunque. Ora c’è da chiedersi: ma chi è il deficiente, il provocatore, il mentecatto che, proprio nel momento opportuno, va a disegnare svastiche in un cimitero ebraico? A quali fini, per quali motivi, e soprattutto a chi giova? Giova indiscutibilmente al varo di Leggi e provvedimenti sempre più repressivi che, altrimenti, solleverebbero una certa resistenza e opposizione da parte di tutti. Ma attenzione, c’è di più: quella Legge, cosiddetta “antinegazionista”, in realtà espressamente antirevisionista, non soltanto sarà finalizzata ad impedire la ricerca storica sull’Olocausto, ma avrà una elasticità tale, per la quale si potranno costruire analogie, sillogismi e teoremi, estendendone la portata ad un ventaglio di proibizioni e punizioni, tutte finalizzate a cancellare la memoria storica del passato. Teniamo presente tutto questo, perchè tempi tristi e difficili, molto difficili, ci attendono. La futura società che hanno prefigurato è oramai chiara: una società globalizzata in ogni ambito sociale, nutrita, anzi mal nutrita con prodotti ogm, dalle devastanti conseguenze per la salute dei popoli, ma dai grandi guadagni per le multinazionali che li producono, dove ogni interesse, ogni risparmio, ogni valore deve essere devoluto al sistema bancario, il vero padrone di tutto. Una società multietnica, possibilmente bisexy, immersa nella alienazione di bisogni virtuali, controllata da un continuo lavaggio dei cervelli applicato dal Grande Fratello. QUIRINO 1

lunedì 19 novembre 2012

LA PACE IN PALESTINA UNA META MOLTO LONTANA

Per duemila anni la Palestina è stata il segno della concordia e della tolleranza tra le varie confessioni ed etnie (unica parentesi i turbolenti Regni Crociati del Medio Evo). Poi, nel 1948 a seguito di una semplice deliberazione dell’ONU a carattere consultivo, in spregio al diritto internazionale e al principio dell’autodeterminazione dei popoli (la popolazione non fu neppure interpellata con un referendum), le potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale decisero di donare metà della Palestina agli ebrei con il pretesto che questi erano originari di quei luoghi e come forma di risarcimento per aver subito la persecuzione hitleriana (in realtà per lavarsi la coscienza a costo zero scaricandolo sui palestinesi). Gli ebrei, preso possesso di quelle terre, cacciarono con la forza chi le abitava da sempre: 900mila palestinesi furono costretti ad abbandonare le loro case per fare posto ai nuovi arrivati e 530 villaggi furono completamente distrutti per impedirne il ritorno e molti altri sostituiti con insediamenti per soli ebrei. Neppure i cimiteri, luoghi sacri per i musulmani, furono risparmiati. Lo spirito colonialista e di supremazia razziale del movimento sionista è condensato nello slogan, poi ripreso dal futuro Primo Ministro Israeliano Golda Meir: « Una terra senza un popolo, un popolo senza terra». In queste parole si coglie la totale indifferenza ebraica verso la popolazione palestinese che non viene neppure considerata, come se non esistesse. Forti dell’appoggio incondizionato degli americani e, inizialmente, anche dei sovietici, gli ebrei si abbandonarono a vere e proprie stragi e atti di puro terrorismo come il massacro del villaggio palestinese di Deir Yassin del 9 aprile 1948 ad opera del gruppo terrorista IRGUM (i cui leader politici erano Begin e Shamir) che causò la morte di 254 tra vecchi, donne e bambini(1) e l’assassinio, avvenuto il 16 settembre dello stesso anno, del mediatore delle Nazioni Unite, lo svedese Folke Bernadotte, per aver denunciato le violenze sioniste. L’omicidio fu rivendicato da un gruppo terrorista di cui facevano parte due futuri ministri israeliani, Cohen e Friedman. Anche da parte palestinese non mancarono atti di terrorismo a cui corrispondevano rappresaglie dure, indiscriminate e sproporzionate. Le successive guerre arabo-israeliane si conclusero con la netta sconfitta della coalizione araba, disorganizzata e male armata, e con l’occupazione di altre consistenti porzioni di territorio palestinese. Il nuovo Stato d’Israele si è subito caratterizzato in senso rigidamente razziale e confessionale essendo aperto ai soli ebrei osservanti. Una legge, quella definita “Del Ritorno”, consente alle autorità religiose ortodosse di esercitare un controllo ferreo sui matrimoni ebraici, sono infatti vietate le unioni tra gli ebrei e i non ebrei (i cosiddetti “gentili”), sui divorzi, sulle conversioni e sulle sepolture. Ai palestinesi è negata qualunque possibilità di farvi parte. Lo stesso impedimento riguarda gli ex-ebrei, ossia persone che pur essendo di discendenza ebraica professano una religione diversa dal Giudaismo: anche a loro è impedito di stabilirsi in Israele. I pochi arabi che hanno potuto continuare a vivere in quella che una volta era la loro terra devono essere riconoscibili (le loro auto, ad esempio, hanno una targa diversa); è sì permesso loro di eleggere dei rappresentanti al Parlamento, ma in quanto piccola, innocua e assimilata minoranza. Il concetto di società multietnica che tanto piace in Occidente e sbandierato anche in Italia come massima espressione di democrazia, libertà e pluralismo in Israele non solo non è neppure contemplata, ma è addirittura vietata per legge. Una sentenza della Corte Suprema israeliana del 1989 stabilisce che alle elezioni sono esclusi partiti politici o persone che prevedono nel loro programma uno Stato multi-culturale o che mettano in discussione il principio dello Stato per Soli Ebrei (SSE). Israele non ha una Costituzione e questo consente ai suoi tribunali di agire con libertà ed arbitrio nelle sentenze, soprattutto a carico dei non ebrei. Con queste caratteristiche definire Israele un “avamposto di democrazia in Medio Oriente”, come spesso si sente affermare, mi pare quanto meno azzardato. Quella che è in atto da sessant’anni in Palestina è una lotta tra due popoli per il diritto all’esistenza. La differenza è che mentre gli israeliani, armati dall’America, hanno uno dei più potenti eserciti del mondo con tanto d’armamenti nucleari che possono usare a loro piacimento, i palestinesi possono disporre solo di rudimentali razzi a breve gittata forniti dall’Iran (che fanno più rumore che danni) e del proprio corpo. A ciò si aggiunge la diplomazia occidentale guidata dall’America che, con il suo atteggiamento sempre giustificativo a favore d’Israele anche quando commette atti disumani come il bombardamento di abitazioni civili e l’omicidio di politici palestinesi, non lavora certo per la pace. Circondata da mura alte 10 metri, controllata dal mare dalle navi da guerra e dal cielo dai satelliti spia a sostegno di un rigido embargo esteso anche ai prodotti di prima necessità che impedisce perfino il transito degli aiuti umanitari, la striscia di Gaza è stata trasformata dagli israeliani nel più grande campo di concentramento che la storia ricordi. Sfido chiunque a resistere in quelle condizioni senza farsi saltare i nervi e vorrei vedere una qualsiasi persona assistere alla morte del proprio figlio per la mancanza di medicinali o sopravvivere senza elettricità e con l'acqua razionata senza provare odio e meditare vendetta verso gli artefici di questa ingiustizia(2). Il fine ultimo degli israeliani è quello di costringere i palestinesi ad abbandonare la loro terra per realizzare il sogno biblico della "Grande Israele", come preconizzato dal fondatore del movimento sionista Theodor Herzl e confermato dal padre della Patria David Ben Gurion che, in un discorso del 1937, dichiarò senza mezzi termini: «Noi dobbiamo espellere gli arabi e prenderci i loro posti». Non a caso Israele è l’unico Paese al mondo che si rifiuta di definire formalmente i suoi confini. Condanniamo pure gli attentati suicidi dei palestinesi, i razzi di Hamas e le bandiere con la stella di David bruciate in piazza dai manifestanti, ma se veramente amiamo la pace non possiamo sorvolare sulle responsabilità dell’Occidente americanizzato e continuare a giustificare la politica repressiva d’Israele. Il popolo ebraico ha subito per duemila anni ogni sorta di persecuzione, ma questo non deve essere usato dal governo israeliano come pretesto per la sua politica repressiva e disumana contro un popolo, quello palestinese, che ha una sola colpa: quella di amare la sua terra e di non volerla abbandonare. QUIRINO1

lunedì 22 ottobre 2012

QUANDO L'ITALIA ERA UN ESEMPIO.

QUANDO L’ITALIA ERA UN ESEMPIO PER TUTTO IL MONDO “WHAT IS THE WRONG, WITH THE MODERN WORLD?” Un personaggio democratico inglese, Michael Shanks, economista di vasta esperienza internazionale, già direttore della Commissione europea degli affari sociali, nonché presidente del Consiglio dei Consumi, indica nel suo libro: “What is The Wrong, with the Moden World?” (“Cosa c’è di sbagliato nel mondo moderno?), lo Stato Corporativo di Mussolini come l’unico metodo per uscire dalla contrapposizione violenta delle parti sociali. Non c’è alternativa, ammonisce l’economista inglese: o lo Stato Corporativo o lo sfascio dello Stato. Non siamo lontani, in Italia, dalla realtà in quanto giunti alla svolta finale! Per iniziare citiamo un pensiero di Benito Mussolini: . O come attestato da un valido studioso britannico: (Gli aspetti Universali del Fascismo, di James S. Barnes).. Certamente, e questo è universalmente riconosciuto, salvo casi e casi: il nuovo tipo di Stato proposto dal Fascismo non può essere universale, perché non tutto quello che sorge e si confà ad una nazione, può adattarsi ad un’altra che vive in condizioni differenti, in epoche differenti. Ma tutti i più grandi Stati civili odierni hanno qualche cosa in comune e forse più di quanto generalmente si supponga. E allora vediamo come il mondo – specialmente quello del lavoro – ha reagito di fronte questo nuovo fenomeno. Ci avvarremo ampiamente dell’ottimo lavoro di Manuel Negri “I movimenti fascisti europei”, il quale nell’Introduzione, inizia: . Possiamo iniziare. IL FASCISMO TEDESCO. Lo storico Renzo De Felice attesta che fra il Fascismo italiano e il Nazionalsocialismo tedesco ci sono più differenze che affinità. Il Nazionalsocialismo, pur influenzato dalla creazione mussoliniana, rivendica una identità propria, postulati ideologici ben più radicali e differenti rispetto al Fascismo italiano, quale il problema della razza, sconosciuta nel pensiero di Mussolini, questo sino a quando, per problematiche indipendenti dalla sua volontà, non fu costretto all’alleanza con il Nazionalsocialismo tedesco. Il movimento hitleriano ha dunque una propria visione del mondo, una propria Weltanschauung; Alfred Rosenberg nella sua opera Der Mythus des XX Jahrunderts (Mito del XX Secolo) in cui sottolinea come fondamentale il concetto di razza e rileva l’opposizione tra religione nordica e religione cattolica. L’opposizione di Benito Mussolini a queste idee fu ben pesante, va ricordato il discorso del Duce in occasione della visita alla città di Bari nel pomeriggio del 6 settembre 1934. Dal balcone del palazzo del Governo, Mussolini, dopo aver esaltato la civiltà mediterranea, disse: . Possiamo fissare la data della nascita del fascismo tedesco nel 1919, quando Adolf Hitler fondò il Partito Socialista Nazionale dei Lavoratori (N.S.D.A.P.). Da un punto di vista storico, il N.S.D.A.P., il 9 novembre 1923 tentò un colpo di Stato, il famoso putsch di Monaco, volendo, probabilmente emulare la Marcia su Roma di Mussolini. Ha osservato M. Da Silva (Dopo Norimberga): . IL FASCISMO NEGLI STATI DELL’IMPERO AUSTROUNGARICO. In Austria, nel corso della storia della prima repubblica (1918-1938) sorsero e si svilupparono alcuni movimenti fascisti ispirati e probabilmente sostenuti e finanziati sia dall’Italia fascista che dalla Germania nazionalsocialista. Il fascismo austriaco, la Heimwehr, abbracciò l’idea dello Stato corporativo, elemento tipico del fascismo occidentale. Nacque pure e si sviluppò una sezione austriaca del N.S.D.A.P. hitleriano. Altri movimenti si rifacevano alla teoria dello Standestaat (Stato dei ceti e delle corporazioni) elaborata dall’esponente di spicco della cultura austriaca, il prof. Otham Spann dell’Università di Vienna, teoria divenuta obiettivo politico della Heimwehr, la cui posizione fu espressa chiaramente nel giuramento di Kornenburg che costituì la piattaforma ideologica e politica del movimento, adottata in una riunione il 18 maggio 1930: . Come si evince si tratta di posizioni sostanzialmente affini, se non addirittura identiche a quelle del Fascismo mussoliniano. La Heimwehr si fuse in molte zone con l’NSDAP; questa fusione non fu vista di buon occhio dal cancelliere Dollfuss e questi fu il protagonista principale degli iniziali dissidi tra Germania e Italia sul caso austriaco. Il cattolico Dollfuss, esponente del partito cristiano-sociale, divenuto cancelliere, si prodigò nel 1933 a mettere al bando il partito nazista austriaco, che considerava l’Austria e il suo popolo come parte inscindibile della stirpe e del Reich tedeschi. Una volta al potere, Dollfuss creò una organizzazione di massa, la Vaterlandische Front (Fronte Patriottico) e promulgò una costituzione basata sul corporativismo mussoliniano. Dollfuss (Niccolò Giani, Cronache del mondo fascista, l’Austria cammina), riporta quanto i politici austriaci hanno affermato: . Queste posizioni, contrarie a quelle nazionalsocialiste, furono la causa della fine di Dollfuss, il quale viene visto come un eroe, un martire, il cui sangue è stato versato in memoria di un’Austria che avrebbe dovuto resistere al giogo del luteranesimo prussiano. IN UNGHERIA. Un reale tentativo di imitazione del Fascismo venne effettuato da Gombos, che divenuto Primo Ministro, dall’ottobre 1932 all’ottobre 1936, tenterà di trasformare l’Ungheria in uno Stato fascista, ma l’ammiraglio Horty, trovando troppo estremista il suo ex luogotenente, finirà col disapprovarlo e chiamerà al governo il banchiere Imedy. Una forte componente popolare alimentò il più importante movimento fascista ungherese, fondato nel 1935 da un ex ufficiale, Ferenc Szalasi; le Croci Frecciate. Szalasi prese questo nome dalla sua insegna, la Croce di Santo Stefano colpita dalle frecce. Ma con il passare del tempo, le Croci Frecciate divennero sempre più un movimento dipendente da Berlino. IN ROMANIA. Un giovane studente, Corneliu Zelea Codreanu dette vita, insieme al suo maestro, il professor Alexander Cuza al Partito Nazionale Cristiano, con chiare ispirazioni al fascismo italiano. Il professore, non condividendo pienamente i sistemi di condotta dei Codreanu, si allontanò da quest’ultimo, ma questi, a sua volta diede vita ad un proprio movimento politico, la Legione dell’Arcangelo Michele, i cui componenti erano particolarmente religiosi. Queste caratteristiche, a dire del Nolte, fecero della Legione . La Legione, a partire dal 1930 deteneva un proprio braccio armato, La Guardia di Ferro, composta per lo più da studenti e contadini. Ma l’attenzione di Roma fu rivolta ad altri gruppi embrionali e numericamente esigui, i quali possono di più essere accostati al Fascismo. Questo farà scrivere a Giuseppe Salvatori (Il Fascismo in Romania): . Trattare delle vicende della Legione ci porterebbe troppo lontano; in questa sede è opportuno ricordare che dei suoi componenti, molti vennero uccisi e più di 6.000 arrestati. Il 16 marzo 1934 Codreanu , visto che il processo contro le Guardie di Ferro era prossimo al dibattimento, si costituì. In quella occasione egli disse: . Il processo della gioventù romena, così definito, è un trionfo dell’idea fascista (Carlo Antonio Ferrario, Gli avvenimenti Romeni). Scrive Manuel Negri, nel testo all’inizio citato: . La figura di Corneliu Zelea Codreanu verrà ricordata con rispetto e come esempio in un certo ambiente nel secondo dopoguerra. IN SLOVACCHIA. I militanti di Padre Hlinka, fondatore del Partito Popolare Slovacco (HSLS), in conseguenza dei danni causati dalla congiuntura economica del momento, guardavano a Mussolini come un modello da imitare. La vittoria di Hitler in Germania aveva incoraggiato ulteriormente i nazionalisti slovacchi, mentre il movimento, formato principalmente da contadini, subiva gradualmente l’influenza ideologica del fascismo prima e del nazionalsocialismo poi. (Joseph Kubinsky, La Slovacchia e il Patto Tripartito). IN BULGARIA. (L. Salvini, Il Fascismo in Bulgaria). Inizialmente queste correnti vennero originate da piccoli nuclei di benpensanti che tentarono di opporsi al dilagare del comunismo, ispirandosi politicamente al Fascismo. Il citato Difesa Nazionale (Rodna Saschtita) rimase, come detto fra i più importanti movimenti, soprattutto a partire dal 1928, quando nel congresso di Pleven, adottò ufficialmente i principi del Fascismo. Osserva D. Lisky (La nuova Bulgaria e la dottrina fascista): . IN SPAGNA. La storia politica spagnola è fra le più complesse e interessanti, sino a sfociare nella sanguinosa guerra civile del 1936-1939. Ha scritto S.J. Woolf (Il Fascismo in Europa): . Il generale Primo de Rivera era attratto dalle idee che partivano da Roma, dalle quali egli trasse il progetto di una riforma corporativa anche se, però ( E. Gimenez Caballero, Ripercussioni del Fascismo in Ispana). Non potendo elencare tutte le vicende – spessissimo sanguinose – della storia spagnola, proponiamo, per rimanere sempre nel tema, quanto ha scritto Filispano (Il momento politico spagnolo): <(…). I segni della stampa quotidiana e nella pubblicazione di libri sul fascismo o di traduzioni di libri italiani fascisti, si è recentemente concretato nella fondazione di un nuovo partito chiamato “Falange Espanola” (F.E.). Ne sono principali esponenti l’avvocato J.A. Primo de Rivera, figlio del generale (…). Il novissimo ardimentoso cavaliere di ventura pieno di impeto e di cuore che risponde al nome di Ernesto Gimenez Caballero, nome simpaticamente noto fra noi per le sue frequenti visite in Italia, dove ha avuto più volte occasione di abboccarsi col Duce, e noto anche per i suoi articoli in “Gerarchia” e in “Critica Fascista”, riboccanti di simpatia per il nostro Paese, per il fascismo e per Mussolini (…)>. Data la complessità della storia spagnola, è impossibile, anche se sarebbe necessario, addentrarci in questa sede, ma per rimanere nel tema tratteremo gli sviluppi essenziali. , scrive Manuel Negri . L’Autore si riferisce al discorso tenuto nella capitale spagnola il 29 ottobre 1933 da Josè Antonio, quando condannò il sistema democratico-liberale e quello socialista in quanto negatore della concezione spirituale della vita. Josè Antonio tracciò i contorni di una soluzione diversa, lontana dagli schemi usuali; pertanto né Destra, né Sinistra. Quindi il 13 febbraio 1934 le concezioni di Josè Antonio sfociarono nella fusione con il movimento di Ledesma Ramos, in precedenza già unitosi con quello di Ridondo. Il nuovo gruppo politico prese il nome di Falange Espanola de las Jons ed assunse il noto emblema del giogo con le cinque frecce a simboleggiare il lavoro e il potere. Si giunse così alle elezioni del 16 febbraio 1936, il preludio e la causa della guerra civile. (E. Carbone, Iosè Antonio e la Falange spagnola>. Da questa situazione iniziarono le azioni repressive nei confronti della Falange, assassinando e imprigionando centinaia dei suoi militanti. Il 14 marzo venne arrestato lo stesso Josè Antonio, il quale dopo aver subito un processo sommario avvenuto nel carcere di Alicante, fu fucilato il 20 novembre 1936. Tutto ciò produsse quel fenomeno di rivolta che conosciamo con il nome di “el Alzamiento Nacional”. La data della fucilazione di Josè Antonio, (F.Pilotto, Storia della Falange spagnola). E Fu Francisco Franco, sostenuto da Italia e Germania, a guidare le forze militari che attuarono il colpo di Stato del 1 ottobre, creando il presupposto per la guerra civile. (Storia della Falange spagnola). Sicché la Spagna che agli inizi del XVI Secolo era un grande potenza, tale da essere considerata il più grande impero della terra, con l’inizio del successivo secolo, entrò in fase di disagio finanziario e di ristagno economico. La corruzione, l’intrigo, il brigantaggio logoravano lo Stato. Una serie di sconfitte politiche e militari aggravavano sempre più la situazione e questa si protrasse sino all’inizio del XX Secolo che vide una ancor più grave crisi economica e sociale nel 1917. La confusione politica, gli scioperi, gli attentati, la repressione poliziesca e militare era la costante nella vita spagnola. La crisi economica del ’29 accrebbe il malcontento. La nascita della Seconda Repubblica (re Alfonso XIII aveva abbandonato la Spagna) si accompagnò a sanguinose manifestazioni di anticlericalismo popolare (maggio 1931): furono incendiati monasteri, uccisi preti, confische sommarie di terre, saccheggi, scioperi generali. L’assassinio del leader Calvo Sotello ad opera di ufficiali di polizia (13/7/1936) fu la scintilla che scatenò il pronunciamento. Possiamo fissare la fine della guerra civile spagnola con la presa da parte del generale falangista di Madrid il 5 marzo 1939. Con l’avvento di Francisco Franco al governo, la Spagna entrò in una fase di sviluppo sociale e industriale, tanto che, ad esempio il tasso d’aumento dal piano di sviluppo 1964-67 fu superato: nel 1965, il reddito nazionale aumentò dell’8,2%, il più alto in Europa. Oggi, agli inizi del XXI Secolo la Spagna, con il ritorno del sistema democratico parlamentare, è sprofondata di nuovo in una crisi economica tale da ricordare gli anni più bui della sua storia. E questo è sotto gli occhi di tutti. IN PORTOGALLO. La storia del Portogallo è, sotto moltissimi aspetti, simile a quella della Spagna. Quindi possiamo trasferirci direttamente al XX Secolo. Anche per questo Paese l’inizio di questo secolo fu costellato di violenze di ogni tipo, tanto che le risorse economiche del paese erano talmente debilitate che non si sapeva in quale maniera si potesse giungere a ristabilire un equilibrio almeno provvisorio. Questa fu la causa della (S.J. Woolf, Il Fascismo in Europa). . Ma fu Salazar a concepire un’organizzazione politica denominata Uniao Nacional. (G. Valentini, Il corporativismo in Portogallo). (I Movimenti Fascisti Europei, di Manuel Negri). La rivoluzione portoghese, partita dalle forze nazionali più vive, ha battuto quelle stesse tracce segnate dal fascismo nella lotta contro i nemici comuni: la democrazia e il bolscevismo. Poi, sotto la spinta della vittoria nel Secondo conflitto mondiale, le potenze capitaliste ripristinarono anche in Portogallo la democrazia parlamentare e anche la drammatica situazione economica di quel Paese è sotto gli occhi di tutti! IN FRANCIA. Certamente questo Paese non si trova attualmente nella disastrosa situazione economica in cui vivono Spagna e Portogallo, tuttavia, come ha scritto Manuel Negri: . Il primo vero gruppo fu fondato nel 1925 da George Valois, un dissidente dell’Action Française, quindi possiamo ricordare, sempre originato dall’Action Française, il Parti Fasciste Rivolutionnaire, movimento fortemente socialrivoluzionario. Maggior successo lo ottenne il Francisme, fondato da Marcel Bucare nel 1933, né vanno dimenticate la Croix de Feu e il Fascism Vert di Henri d’Hallouin, nel 1933. Fu il Francisme, più di altri a propagandare l’idea di un Fascismo internazionale. (Hans Werner Neulen, L’Eurofascismo e la seconda guerra mondiale). Infine, ma non ultimo, l’operazione condotta dal colonnello de la Nocque che integrò il movimento con gli affiliati dei Volontaires Nationaux. (S.J. Woolf, Il Fascismo in Europa). Nel frattempo all’orizzonte spunta un nuovo partito (N.N. Doriot, Il solco fascista). Tra le fila del Parti Popolaire Française si annoverano numerosi intellettuali, tra i quali ricordiamo le figure di Pierre Drieu La Rochelle (suicida il 15 marzo 1945), Robert Brasillach (fucilato a guerra finita per ordine di De Gaulle), Louis-Ferdinand Cèline, Alphonse De Chateaubriand, Abel Bonnard e Lucine Rebatet. Tutte queste organizzazioni subirono ampie trasformazioni a seguito della sconfitta francese ad opera dell’Asse e della susseguente occupazione. Da ciò venne creato il governo di Vichy, guidato dal maresciallo Henri Pétain. Scrive S.J. Woolf nell’opera citata: <(…). Agli inizi il governo di Vichy ebbe l’autentico consenso delle masse popolari, non solamente perché sembrava cosa sensata schierarsi con chi sembrava essere il vincitore, ma anche perché diffusi erano la delusione e il disgusto verso un regime, quello della terza Repubblica ritenuto responsabile della sconfitta (…).>. IN INGHILTERRA. Fare la storia del fenomeno Fascismo in Inghilterra è fare la storia di Sir Oswald Mosley, anche se di movimenti fascisti in Gran Bretagna se ne possono annoverare diversi, tra questi si può citare il British Fascists , creato in stretta sintonia con il modello italiano. La grave crisi economica che investì il mondo alla fine degli anni ’20, non risparmiò certo l’Inghilterra. Sir Oswald Mosley, proveniva dal Partito laburista che abbandonò, nel 1930. (M. Bardeche, I Fascismi sconosciuti). Dopo l’ottobre del 1931, il New Party cessò di esistere. Nel gennaio 1932 Mosley partì per l’Italia con l’intento di studiare il movimento fascista italiano. Al ritorno in Inghilterra (Manuel Negri, op. cit.). Lo stesso Mosley, scrivendo sulla rivista Gerarchia, sottolineò la fondamentale influenza italiana sul fascismo inglese. (Oswald Mosley, Il fascismo come fattore universale). Sempre nello stesso articolo, Mosley puntualizza: . Dalla metà degli anni ’30 al 1940 Mosley sottopose tutte le sue energie nell’intento di far trionfare una politica di pace che vedesse protagonista il fascismo. Nel maggio del 1940, poco prima che l’Italia entrasse in guerra, la British Union of Fascists fu sciolta e sir Mosley arrestato. Dopo tre anni di prigionia fu liberato a novembre 1943. NEGLI ALTRI PAESI RUROPEI. Svizzera: il Nazionale Front dello studente Vonwyl (1930). Belgio: Naco-national corporatismo di Charles Sauville. Il movimento fascista vallone fu fondato da un giovane di nome Léon Degrelle. Olanda: l’ingegnere Adrian Anton Mussert fondò, nel 1931 il National-Socialistiche-Beveging (NSB) che aveva come modello il Partito Nazionale Fascista. Lituania: il Lituvos Aidas è il giornale più diffuso nel paese e le sue tendenze di ammirazione per il movimento fascista italiano è ampiamente dimostrato. In Svezia, in Danimarca, e in Norvegia, dove Vidkun Quisling è il personaggio più noto dei fascisti nordici, tuttavia l’idea fascista ha guadagnato terreno soprattutto attraverso l’influenza hitleriana (Vidkun Quisling, a guerra finita, a ottobre 1945, per le sue idee politiche fu fucilato). Polonia: Un movimento ideologicamente vicino al fascismo fu il Partito Nazionale, fondato da Roman Dmowski. Finlandia: l’AKS (Akateeminen Karjala-Seura fu un movimento che prendeva a modello di rigenerazione nazionale l’Italia di Mussolini. Prima del Secondo conflitto mondiale, l’idea fascista era in netta espansione, non solo in Europa, ma nel mondo. L’elenco sarà completato in appendice in un nostro volume di imminente pubblicazione. GIUNTO A QUESTA FASE IL SUPERCAPITALISMO TRAE LA SUA ASPIRAZIONE E LA SUA GIUSTIFICAZIONE DA QUESTA UTOPIA: L’UTOPIA DEI CONSUMI ILLIMITATI. L’IDEALE DEL SUPERCAPITALISMO SAREBBE LA STANDARDIZZAZIONE DEL GENERE UMANO DALLA CULLA ALLA BARA. IL SUPERCAPITALISMO VORREBBE CHE TUTTI GLI UOMINI NASCESSERO DELLA STESSA LUNGHEZZA, IN MODO CHE SI POTESSE FARE DELLE CULLE STANDARDIZZATE; VORREBBE CHE I BAMBINI DESIDERASSERO GLI STESSI GIOCATTOLI, CHE GLI UOMINI ANDASSERO VESTITI DELLA STESSA DIVISA, CHE LEGGESSERO TUTTI LO STESSO LIBRO, CHE FOSSERO TUTTI DEGLI STESSI GUSTI AL CINEMATOGRAFO, CHE TUTTI INFINE DESIDERASSERO UNA COSIDDETTA MACCHINA UTILITARIA. QUESTO NON E’ UN CAPRICCIO, MA E’ NELLA LOGICA DELLE COSE, PERCHE’ SOLO IN QUESTO MODO IL SUPERCAPITALISMO PUO’ FARE I SUOI PIANI. Benito Mussolini. Il Popolo d’Italia – 15 novembre 1933 QUIRINO 1

domenica 21 ottobre 2012

FINANZA E POLITICA

QUANDO LA FINANZA GUIDA LA POLITICA In uno dei nostri precedenti articoli abbiamo accennato alla dura sentenza di George N. Crocker riguardo la persona del Presidente Franklin Delano Roosevelt. In base a considerazioni oggettive, da recenti documenti e grazie al lavoro di validi studiosi, risulta che Roosevelt non solo sapeva dell’attacco nipponico su Pearl Harbor, ma addirittura lo aveva accuratamente preparato. Dalla fine del ’29 (anno della grande crisi economica) alla fine degli anni ’30 assistiamo ad un fiorire di nuove idee che partivano dalla vecchia Europa (della quale l’Italia fascista era alla guida), idee che mettevano in discussione l’assetto finanziario e politico mondiale, i cui vertici risiedevano a Londra e a New York. Ma il Presidente statunitense aveva un ostacolo da superare: il suo popolo era decisamente contrario ad esser coinvolto in una nuova guerra. Quando gli americani concessero per la terza volta la presidenza a Roosevelt, erano convinti che questi avrebbe difeso la neutralità, la pace e l’impegno assunto di non farsi coinvolgere in nuove avventure. Roosevelt sapeva benissimo che la promessa chiestagli dal Paese doveva essere garantita in modo chiaro: il non mantenerla gli sarebbe costata la sconfitta e la non rielezione. Perciò questo impegno fu enunciato in modo solenne; pochi giorni prima delle consultazioni elettorali, nell’arena di Boston Roosevelt assicurò: . Vediamo con quale astuzia e, dobbiamo darne atto, con quale capacità Roosevelt riuscì “a ingannare, prendere in giro, beffare” il popolo americano. Ottobre 1939 (la guerra in Europa era già esplosa): il Presidente americano, agendo con scaltrezza, riuscì a far passare la legge “cash and carry” che autorizzava la vendita di armi e munizioni a tutte le nazioni disposte a pagarle in contanti, purché ne assicurassero il trasporto a proprio carico. Ciò favoriva le due grandi potenze navali che si affacciavano sull’Atlantico: Gran Bretagna e Francia. Ma questa disposizione faceva seguito ad un atto che vide la luce nel settembre del 1939, quando . (“Storia degli Stati Uniti” di Schlesinger). Era un atto senza precedenti nel diritto internazionale: un atto che mirava ad avvicinare i convogli Usa alla Gran Bretagna di mille miglia in “zona di sicurezza”. Questo fu tanto apprezzato da Winston Churchill che nella sua “Storia della Seconda Guerra Mondiale” scrive: . Anche se solo formalmente, gli Usa erano ancora neutrali; ma quelle messe in opera dal presidente americano erano vere e proprie provocazioni, non ancora raccolte dai governi di Roma e Berlino. La politica rooseveltiana di pressione sulle potenze del Tripartito continuava, ma sempre in modo da lasciare negli americani la convinzione che il loro presidente mai li avrebbe trascinati in una nuova avventura bellica. Nel novembre 1940 Roosevelt decise che l’Inghilterra doveva essere : quindi a quel Paese sarebbe stata assegnata metà della produzione bellica statunitense. Un nuovo provvedimento, che è un ulteriore passo verso la guerra, è riportato dal “Dizionario Mondatori di Storia Universale”: . Luglio 1941: la neutralità? Truppe americane sbarcarono in Islanda e vi stabilirono basi militari. Nell’iter di Roosevelt verso la guerra una nuova tappa fu la chiusura dei Consolati tedeschi e italiani negli Stati Uniti, mentre quelli in Germania e in Italia continuavano a svolgere regolarmente le loro funzioni. A questa disposizione fece seguito l’ordine di sequestrare tutte le navi tedesche e italiane ancorate nei porti statunitensi, con conseguente internamento degli equipaggi. Gli Stati Uniti erano ancora un “Paese neutrale”. Nel 1942 Clara Boothe Luce (poi ambasciatrice americana in Italia) dirà a Fish (congressman repubblicano e convinto non-interventista) che . Le parole di Clara Boothe Luce trovano conferma nei fatti. A metà agosto il Governo giapponese era retto dal principe Konoye, un moderato che ripetutamente proponeva un incontro personale con il presidente americano per raggiungere un accordo pacifico. E’ bene ricordare che già nell’aprile 1940 Roosevelt era riuscito ad imporre l’embargo del petrolio, tanto che la produzione industriale giapponese aveva subito una riduzione che stava portando la popolazione alla fame. La marcia delle “forze del bene” verso il conflitto era inarrestabile. Il Canale di Panama fu interdetto al transito del naviglio nipponico e negati i rifornimenti. Un’ordinanza presidenziale del 26 luglio 1941 prescrisse l’immediato congelamento di tutti i beni giapponesi e l’aggravamento dell’embargo, proibendo, di fatto, il commercio esistente fra gli Stati Uniti e il Giappone. Da “Lo stalinista Roosevelt”: . Gli Stati Uniti erano il principale importatore di seta grezza e il Giappone il più grande produttore ed esportatore. Da il “New York Time” del 2 agosto 1941: . Durante questa serie di ostilità i giapponesi oscillarono dapprima fra il desiderio di pace e l’ira, fra l’educatissima condiscendenza e la rabbia. Questo popolo alacre guardava oltre i Mari del Sud, oltre il Mar del Giappone, là dove stavano le risorse naturali di cui aveva bisogno: e non erano mire di grandezza, quelle che esso nutriva, quanto legittime necessità di sopravvivenza. L’ambasciatore americano a Tokio, Joseph C. Grew, fece sinceri tentativi per organizzare un incontro tra il principe Konoye e il presidente Roosevelt, ma questi . L’arroganza di Roosevelt giunse al punto di far sapere (Gorge N. Crocker) . Continua Crocker: . 8 agosto 1941: mancano tre mesi all’attacco dei giapponesi a Pearl Harbor, quando Churchill e Roosevelt stabiliscono un incontro segreto a Terranova. E’ molto probabile che in quella occasione venne fissato il momento dell’entrata in guerra degli Stati Uniti. Al termine dell’incontro Churchill rilasciò al “New York Time” un’intervista nella quale, fra l’altro, disse: . Superfluo indicare da quale parte stessero il “bene” e il “male”. Come è superfluo chiedersi se Churchill si rendesse conto che con quegli accordi liquidava l’Impero britannico, per trasferirlo oltre Atlantico. Ancora più enfaticamente il premier inglese si rivolse ai marinai della corazzata “Prince of Walles” che lo riportava in Patria: . Un ulteriore passo verso la guerra fu l’ordine di Roosevelt di congelare tutti i beni giapponesi negli Stati Uniti. Inghilterra e Olanda si allinearono all’azione statunitense. L’attacco giapponese contro Pearl Harbor avvenne alle ore 8 di domenica 7 dicembre 1941, e la notizia fu data per radio il pomeriggio di quello stesso giorno. Questa suscitò dapprima incredulità, che si trasformò poi in furore e in quella di vendicarsi: proprio come era nei progetti del presidente americano. Così, sia il popolo americano che quello giapponese erano caduti nella trappola preparata dal presidente e dal suo “staff”. E’ superfluo qui rammentare i fatti che documentano come Roosevelt fosse a conoscenza dell’attacco giapponese. Ma quanto abbiamo esposto può servire a stabilire qualche affinità fra quanto avvenne nel lontano dicembre 1941 e quanto avvenuto l’11 settembre 2001. La crisi economica che negli Stati Uniti durava dal 1929 fu superata con l’entrata in guerra nel 1941. Nei giornali di questi giorni leggiamo: <4 mila ebrei americani e israeliani che lavoravano negli uffici del World Trade Center non si sono presentati al lavoro il giorno dell’attentato perché “avvertiti in anticipo degli attacchi dal Servizio segreto israeliano Mossad”>. Se la notizia trovasse conferma sarebbe esplosiva. Alcuni Paesi del Medio Oriente, ricchi di petrolio, ancora riottosi al volere di Wall Street, dovranno ora vedersela con il “furore e l’ implacabile determinazione alla vendetta” del popolo americano. E guerra fu…! E di tutto quel che segue, di cui godiamo le conseguenze! 1) Hideki Toyo e altri 900 esponenti del Giappone furono impiccati tra il 1946 e il 1948 dagli americani quali “criminali di guerra”. Classico esempio di civiltà degli angeli del bene. L’AMICO B.B. MI HA INVIATO LA SEGUENTE MAIL CON PREGHIERA DI DIVULGARLA. NON VEDO IL MOTIVO PER NON ACCOGLIERE LA SUA RICHIESTA. IN QUESTI GIORNI NON SI FA ALTRO CHE PARLARE DELLE SOZZERIE DEI NOSTRI PARLAMENTARI... QUI DI SEGUITO UN'ALTRA BELLA NOTIZIA!!! Scandaloso e vergognoso è "veramente dire poco !!! La scelta della data del 13 aprile, per il voto in alternativa a quella del 6 aprile può apparire casuale ma non lo è affatto: votando il 6 di aprile, infatti, i parlamentari alla prima legislatura non rieletti non avrebbero maturato la pensione. Votando invece come stabilito dal Consiglio dei ministri il 13 aprile, ovvero una settimana dopo, acquisiranno la pensione. "E poi parlano di voler fare l'election day per ridurre i costi della politica! Ben altri saranno i costi di queste pensioni, non solo in termini quantitativi, ma anche per il messaggio dato al paese, perchè questo è il tipico esempio di come fatta la legge viene subito trovato l'inganno". MORALE DELLA FAVOLA 300.000.000 (se avete letto bene: TRECENTOMILIONI, chiaramente di Euro) DI COSTI PER QUESTA GENTACCIA CHE DOPO POCHISSIMI MESI SENZA FAR NULLA HANNO GIA' LA PENSIONE CHE E' DI PLATINO (ALLA FACCIA DEI PENSIONATI CHE DOPO UNA VITA DI LAVORO PER MANGIARE RACCATTA LA VERDURA RIMASTA A TERRA NEI MERCATI). I TELEGIORNALI CORROTTI E PREZZOLATI NON LO DICONO, I GIORNALI NEMMENO, SOLO INTERNET PERMETTE DI CONOSCERE QUESTA SCHIFEZZA QUIRINO 1

lunedì 15 ottobre 2012

LA BOVINA TRAGEDIA.

Alfin giugnemmo, per ritorta via, ove l’oscura insegna si dispiega della bolgia c’ha nom “Democrazìa”. Lo buon Maestro disse: “Spera e priega, qui ronfa e russa il popolo sovrano con sinistro fragor di motosega. Sta sulla porta Giò Napolitano, la cui loquela induce al viaggiatore un sì profondo sonno da divano che nol risveglian più dal suo torpore nemmanco la divina potestate, la somma sapïenza e ‘l primo amore. La giù tra l’ombre triste smozzicate s’ode la mesta nenia del vegliardo. Qui si parrà la tua nobilitate!”. Io scorsi in quel budello, al primo sguardo, un omicciuol da’tratti famigliari, ch’in bolsi motti, di cui avea un migliardo, cianciava di dilemmi monetari. Vaghe stelle de l’Orsa, non credea ch’alle minchiate umane foste impàri! Farneticava di patria europea, di bund, di spread, di bot e altra trastulla, quale il villano che del vin si bea. E nella notte, nera come il nulla, risuona la barbosa tiritera che il volgo rintronato addorme e culla. Ancor m’assonna ricordar qual era la solfa sul Welfàre che tutto infesta salmodiata con blàtera straniera. Già m’assopiva, come al dì di festa, quando il mio duca, preso un grosso maglio, ruppemi l’alto sonno nella testa. E andamm’oltre, laddove s’ode il raglio d’orde di teleutenti assomarate dal bercio dei Santori e dei Travaglio; e i diavoli, prendendoli a pedate, li fan volar per l’aere senza stelle quali colombe dal disìo chiamate. Ma quei, lividi e pesti sulla pelle del deretano, plaudono alla suola, esultano al norcin che li macelle. E un asino dotato di parola ragliava scipitezze in voce trista, sì che pareva un preside di scuola. “Caduto è alfin il giogo del fascista! Destati Italia, gongola e sii lieta! Or c’è al governo un grande economista!”. Mi mosse il suo delirio a tanta pièta che lo storpiai di calci ne’ coglioni con la licenza del dolce poeta. Tale è la teologia di que’montoni, la cui “Democrazìa”, c’han sempre in bocca, rinuncia volontieri all’elezioni. Additommi il Maestro un’alta rocca merlata, che maligna nel colore muta s’ergea sovra la mandria sciocca. Stavvi in cima l’eurocrate pastore, e reca al suo bestiame le nerbate ch’al cor gentil rempaira sempre amore. Lì ci appressammo, con larghe falcate, onde mirar da presso l’abituro da cui le genti vengon tartassate. V’era d’intorno un fosso fondo e scuro, pien di marmaglia dal color marrone, per ch’io: “Maestro, il fetor lor m’è duro”. “Qui vedi gli empi autor del ribaltone”, disse lo duca, “i sommi traditori, mutati in sterco assieme a Berluscone. Putono in questa pozza i suoi rettori, i ministri, i lacchè, il portaborsame, le donne, i cavalier, l’arme, gli amori”. Ahi serva Italia, putrido reame! Non donna di province, non bordello, ma biologica fossa di letame! Langueva in quel fossato di castello l’intiera alta genìa parlamentare, destra, sinistra, centro, questo e quello. Io chiesi: “Chi è la fetida comare che sì piangente come donzelletta tanto gentile e tanto onesta pare?” Rispuose ‘l duca a me: “Quella è Brunetta, che perse il posto; ma il suo piagnisteo è nulla a petto a quel di Gianni Letta. Il quale adesso ha fama di babbeo, d’uom che sì saggio era stimato prima, ché a suo danno del golpe fu correo”. “O anime fetenti”, io chiesi in rima, “dite qual colpa, pria che ‘l senno io perda, in forma d’escrementi vi concima?” Rispuosero: “Noi siamo la malerba che vi asservì all’atlantica baldracca. Uomini fummo ed or siam fatti merda”. Ed un di lor, col lembo della giacca, s’asciugava dal naso i goccioloni. Piangeva, e le sue lagrime eran cacca. Io riconobbi in lui Bobo Maroni rettor del dicastero di giustizia che i popoli padani fé terroni; riscatto prometteva e diè tristizia d’Umberto la codarda celta prole, prostrandosi all’allogena milizia. Olea il suo pianto non proprio di viole, così volgemmo il guardo alla nimica rocca, sovra la qual mai approda il sole. Ci arrampicammo dunque, a gran fatica, verso l’uom che l’afflitto regno regge d’in su la vetta della torre antica. O Musa, or l’intelletto mi sorregge vacillante, acciocch’io qui racconti quel ch’agghiacciare può ciascun che legge! E perché i miei lettori sieno pronti all’orror che tremando metto in metro dirò che in cima io vidi Mario Monti. Io m’attendeva invero un antro tetro, di stalattiti ticchettanti gocce, e rospi e pipistrelli sottovetro; ma s’io avessi le rime aspre e chiocce discriver non potrei quell’uom dimesso qual pensionato al circolo di bocce. Ei sorrideva d’un sorriso fesso, d’un ghigno lento, come alla moviola, qual è in banca il brio finto del commesso ch’ognor rifila obbligazioni-sòla; e pure, i correntisti son felici di lasciar vino e prender Coca-Cola. Ei prometteva cruenti sacrifici quale un sovrano azteco o un lucumone, ed i sacrificandi eran suoi amici e ripeteano in coro: “Bè, ha ragione”. S’io potessi ritrar come assonnaro li occhi della miserrima legione di moralisti, cui sognar fu caro, dianzi al caudillo di cui ho detto sovra, voi vedreste, oltr’al pupo, anche il puparo, l’empio poter che i popoli manovra. Io lo vidi, in quel Duce per procura: era il Zucconi ch’esce come piovra a rimbambir gl’intenti alla lettura, era l’Amaca squallida di Serra su cui sonnecchia e langue la cultura, era l’editoriale terra terra di Feltri, fermo all’era di Togliatti, era di Gad Lernèr l’urlo di guerra ch’i teleutenti rende mentecatti; era il tabloid con Raf nel paginone e all’interno un’analisi sui fatti di Libia, con annessa l’opinione di Maria De Filippi immacolata; tutto il pattume dell’informazione ch’allo stranier la strada ha già spianata; e tutt’intorno un brulicar di vermi che sanità di mente han divorata, un demente brillìo di maxischermi da cui scorrono cruente le parole: “Vexilla regis prodeunt infermi”. E acclamano gl’infermi a mille gole il rege finanziario che s’insedia, acquetati da penne tristanzuole che da “sviluppo” pingono l’inedia. Così trascorre il loro più bel giorno. Poi il triste vespro chiude la Commedia. QUIRINO 1

martedì 9 ottobre 2012

NON PER SOLDI...MA PER DENARO.

" I ladri di beni privati passano la vita in carcere e in catene, quelli di beni pubblici nelle ricchezze e negli onori.."
(Marco Porcio Catone) LA POLITICA? IL “MESTIERE” PIÙ ANTICO DEL MONDO… “Cosa vorresti fare da grande?” Chi di noi, almeno una volta nella vita, non ha avuto posta questa domanda? In altri tempi, le risposte più comuni erano anche le più banali: “il medico!”, rispondevano i più filantropi; “il prete!”, i più introversi; “il poliziotto!”, i più audaci; finanche “lo spazzino!”, i più estroversi… Oggi, per le nuove generazioni cresciute a “pane e televisione”, le aspirazioni più ambite sono piuttosto cambiate: i figli -dalla vita bassa (e mutande alte!)- del “consumismo sfrenato” e della globalizzazione selvaggia, perso ogni briciolo di genuinità, sognano di fare “il calciatore”, illusi dalle prospettive di facili guadagni; di diventare “veline”, abbagliati dai lustrini e paillettes del palcoscenico; di divenire “cantanti”, attratti dalla prospettive di bucare lo schermo inseguendo la scorciatoia d’un reality… Perché questa premessa “sociologica” parlando di un tema brutalmente politico: il costo dei parlamentari? Perché, ritornando alle aspirazioni dei giovani del domani, c’è da scommettere che presto la professione più ambita diverrà quella politica! Quale altra attività “rende molto” in termini di guadagni e visibilità e “richiede poco” in termini di capacità e competenza??? Un tempo l’immagine poco “in” del politico - generalmente visto come un personaggio grigio, noioso, riservato…- costituiva una naturale barriera tra i giovani e la politica. Ma come non cambiare idea ripensando alle serate “allegre” dei nostri Presidenti del Consiglio, ai divertimenti “sfrenati” dei nostri consiglieri regionali o ai festini “dissoluti” cui non di rado incappano i nostri politici?! “Non Per Soldi… Ma Per Denaro” era il titolo d’un celebre film del 1966. Quale altro slogan descriverebbe meglio le motivazioni, gli stimoli, le ambizioni che spingono oggi i vari “Fiorito d’Italia” ad avvicinarsi alla politica?! Unica differenza? La pellicola americana era una commedia, mentre la trama che la politica italiana ha scritto negli anni appare una “tragicommedia dell’assurdo”: una storia -scritta a più mani e senza “happy end!”- caricata da ripetuti flashback (il ritorno sulla scena di personaggi che si credevano d’un pezzo finiti…), travagliata da infiniti scandali (viaggi pagati, case affittate o appartamenti comprati “a propria insaputa”!) e alleggerita dalla frivolezza di esotici “Bunga Bunga” o stravaganti favole che narrano di nipoti egiziane! IL PARADOSSO ITALIANO? STIPENDI “PIÙ BASSI” D’EUROPA E PARLAMENTARI “PIÙ PAGATI” DEL MONDO! Quanto (ci) costano gli stipendi dei parlamentari? La domanda pare alquanto retorica: “troppo!”, risponderebbe qualsiasi uomo della strada… Ma, analizzando i costi della politica, il passaggio da una retorica un po’ qualunquista a una motivata “indignazione” si fa immediato! Confrontando i guadagni dei nostri parlamentari con lo stipendio medio degli italiani, il risultato che ne viene fuori è “impressionante” (fonte L’Espresso, 05/03/2012): in nessun Paese europeo la distanza tra onorevoli e cittadini è così ampia! Quanto ampia? • In Spagna un parlamentare guadagna mediamente 2,1 volte di più di un comune cittadino; • in Belgio e Olanda 2,7 volte di più; • in Francia 4,8 volte di più; • in Germania 3,4 volte di più. E in Italia? Nel nostro Paese, evidentemente il “Regno di Bengodi” per la politica, un parlamentare guadagna fino a “6,8 volte di più” rispetto a un elettore (lo stipendio di quest’ultimo, difatti, si attesta in media sui 19.250 euro l’anno, secondo le dichiarazioni dei redditi 2011; sui 23.000 euro, secondo il Rapporto Eurostat 2012). In buona sostanza, il guadagno “mensile” di un parlamentare è pari allo stipendio “annuale” di un suo elettore medio! Come non chiamare “Casta” una politica siffatta?! E non finisce qui! Secondo un’inchiesta di Openpolis, i nostri deputati sono pagati “509 euro” l’ora (lavorando, in media, solo 1 giorno su 6 a settimana, ossia 80 giorni l’anno), mentre i senatori “863 euro” l’ora (dedicando solo 50 giorni l’anno ai lavori parlamentari). Un parlamentare, in un’ora di lavoro, guadagna quanto la maggior parte del suo elettorato percepisce in un intero mese! E’ come se gli eletti lavorassero quanto un lavoratore stagionale, ricevendo però una paga -e che paga!- per tutto l’anno! Cosa mantengono di “onorevole” i nostri parlamentari se non il titolo??? COME TOLLERARE CHE L’ITALIA SI COLLOCHI ALL’ULTIMO POSTO IN EUROPA PER LE RETRIBUZIONI DEI LAVORATORI ED AL PRIMO PER I COMPENSI DEI POLITICI?! LO SCANDALO ITALIANO? DA NOI I PARLAMENTARI PIÙ “CARI” D’EUROPA! La media Ue delle indennità dei membri delle Camere Basse si attesta sui 54.000 euro lordi annui (4.500 euro mensili). L’indennità di un deputato italiano, invece, pur al netto dei tagli degli ultimi anni e senza considerare diarie, rimborsi e benefit vari, ammonta a “10.435 euro” lordi al mese (“125.220 euro” l’anno!). Com’è possibile che un parlamentare italiano guadagni “più del doppio” della media europea? Solo nel 2011, la spesa per gli stipendi e i benefit dei nostri onorevoli è ammontata a 245.165.000 euro (con un aumento del 9,10% rispetto al 2001, pari a 20,5 milioni di euro in più). Fin quando potremmo permetterci “il lusso” di una classe politica così onerosa?! Qualche utile confronto può evidenziare meglio d’ogni altro commento le sproporzioni del “caso Italia” (fonte Linkiesta.it): • negli Usa un deputato percepisce un’indennità annua di 115.000 euro lordi; • in Canada 107.000 euro; • in Irlanda al massimo 102.000 euro; • in Australia 93.000 euro; • in Olanda 91.000 euro; • in Germania 85.000 euro; • in Francia 84.000 euro; • in Norvegia 79.000 euro; • in Nuova Zelanda 71.000 euro; • in Gran Bretagna 70.000 euro; • in Svezia 70.000 euro; • in Spagna addirittura “37.000” euro (lordi ed annui, s’intende!). Un deputato italiano svolge le stesse funzioni di un collega iberico e vive in un Paese non molto dissimile dalla Spagna. Perché mai dovrebbe costare alla collettività “più del triplo”?! Ma quanto guadagna, esattamente, un parlamentare italiano? I nostri deputati e senatori, al netto di ogni ostentato taglio (?), beneficiano di: 1) una “INDENNITÀ DI FUNZIONE” (prevista dall’articolo 69 della Costituzione e regolata dalla legge n.1261 del 1965), pari alla Camera a 10.435 euro lordi al mese (circa 5.000 euro netti) ed al Senato a 10.385 euro lordi (5.300 euro netti); 2) una “INDENNITÀ DI CARICA” per ogni ulteriore incarico assunto (ad esempio, la presidenza -o vicepresidenza- di un gruppo politico o di una commissione); 3) una “DIARIA” (disciplinata sempre dalla legge n.1261 del 1965), ossia un rimborso forfettario delle spese di soggiorno a Roma (in realtà, spettante anche ai residenti nella Capitale!), pari, sia a Montecitorio che a Palazzo Madama, a 3.503 euro “netti” al mese; 4) un “RIMBORSO (forfettario) DELLE SPESE PER L’ESERCIZIO DEL MANDATO”, con cui si dovrebbero pagare i portaborse (peccato che solo un onorevole su tre se ne avvale e, per di più, spesso questi sono pagati male e in nero!), pari per i deputati a 3.690 euro “netti” mensili, per i senatori a 2.090 euro; 5) un “RIMBORSO (trimestrale) DELLE SPESE DI TRASPORTO E VIAGGIO”, pari alla Camera (a seconda che la distanza tra il luogo di residenza del deputato e l’aeroporto più vicino per raggiungere la Capitale superi i 100 Km) da 3.323 a 3.995 euro netti, ossia da 1.107 fino a 1.331 euro al mese; al Senato tale voce è stata sostituita dal “RIMBORSO (forfettario) DELLE SPESE GENERALI”, pari a 1.650 euro netti al mese; 6) un “RIMBORSO (annuale) DELLE SPESE TELEFONICHE”, pari a Montecitorio a 3.098 euro l’anno, ossia 258 euro “netti” al mese; al Senato tale voce rientra nel “rimborso delle spese generali”; 7) una “ASSISTENZA SANITARIA INTEGRATIVA (obbligatoria)”, che, sia alla Camera che al Senato, garantisce tariffe agevolate e rimborsi per le prestazioni sanitarie dei parlamentari e dei loro familiari (conviventi more uxorio compresi!); al Senato è anche presente un ambulatorio con pronto soccorso h24, con un medico e quattro infermieri sempre disponibili, che (ci) costa “700.000 euro” l’anno; alla Camera il costo dell’assistenza sanitaria integrativa, solo nel 2011, è ammontato a “10 milioni” di euro (di cui 3 milioni solo per spese odontoiatriche ed altrettanti per interventi in cliniche private!); 8) “TESSERE SPECIALI PER VIAGGIARE GRATUITAMENTE” su strade, ferrovie, navi ed aerei per tutto il territorio nazionale (di queste beneficiano non solo i parlamentari in carica ma anche chiunque sia stato eletto almeno una volta alla Camera e per dieci anni dal termine del mandato!); 9) ulteriori “PRIVILEGI” (ad esempio, gli ex presidenti delle Camere godono di segreterie personali, auto blu e uffici riservati in Parlamento: fino al 2011 ne usufruivano “a vita”, dal 2012 “solo” per i dieci anni successivi la cessazione del mandato); 10) un “ASSEGNO DI FINE MANDATO” (o di solidarietà), ovverosia una sorta di “Tfr parlamentare”, pari, sia per i deputati che per i senatori, all’80% dell’importo mensile lordo dell’indennità per ogni anno di mandato effettivo (o frazione non inferiore ai sei mesi); alla Camera, l’assegno ammonta a 46.814 euro dopo un solo mandato e fino a 140.443 euro dopo tre legislature; 11) e un “VITALIZIO PARLAMENTARE”: se è vero che questa voce è stata recentemente abolita e sostituita da una comune pensione contributiva (almeno per tutti coloro eletti dopo il 1° gennaio 2012), è altrettanto vero che ne continueranno a beneficiare gli ex membri del Parlamento e tutti i parlamentari attualmente in carica! Facendo le dovute somme -e non considerando eventuali indennità di carica, assegni di fine mandato, vitalizi e benefit non monetizzabili-, un semplice parlamentare può arrivare a intascare mensilmente “19.217 euro” alla Camera e “17.628 euro” al Senato! E’ facile dimostrare, allora, che i parlamentari italiani non solo percepiscono gli stipendi e i vitalizi più alti ma beneficiano anche di tutta una serie di privilegi “unici” rispetti ai propri colleghi europei! Qualche esempio (fonti: “Rapporto Giovannini”; studio riservato del Servizio per le competenze parlamentari della Camera)? • In Francia i membri dell’Assemblée nationale (577) percepiscono un’indennità di 7.100 euro lordi al mese, non beneficiano di alcuna diaria (al massimo di residence a tariffa agevolata o di prestiti di 76.000 euro al 2% per comprarsi un appartamento) e non hanno alcun assegno di fine mandato (solo un sussidio di reinserimento, di cui si beneficia se disoccupati e per tre anni al massimo); • in Germania i membri del Bundestag (620) intascano un’indennità di 7.668 euro lordi mensili, beneficiano di un contributo per le spese di segreteria e rappresentanza di 1.000 euro (importo massimo) e non hanno nessun assegno di fine mandato (solo un’indennità provvisoria, di cui usufruiscono per 18 mesi); • in Gran Bretagna i membri della House of Commons (650) incassano un’indennità di 6.350 euro lordi al mese, come diaria possono richiedere un rimborso massimo mensile di 1.922 euro e non hanno alcun assegno di fine mandato (al termine della legislatura, possono solo chiedere un rimborso di 47.000 euro per spese connesse all’esercizio delle loro funzioni); • in Olanda i deputati guadagnano 8.500 euro d’indennità lorda al mese, beneficiano di una diaria di 1.600 euro (importo massimo) e di un contributo per le spese di segreteria e rappresentanza di 203 euro; • in Austria riscuotono 8.100 euro d’indennità mensile, non godono di alcuna diaria e beneficiano di un contributo per le spese di segreteria e rappresentanza di 480 euro; • in Belgio intascano 7.300 euro lordi al mese, non godono di alcuna diaria e percepiscono un contributo per le spese di segreteria e rappresentanza di 1.800 euro; • in Grecia percepiscono un’indennità di 5.700 euro lordi mensili; • in Portogallo ricevono un’indennità di 3.400 euro lordi al mese; • in Spagna guadagnano soli 2.800 euro d’indennità lorda mensile e ricevono una diaria di 1.800 euro (soli 870 euro se residenti a Madrid); • a Strasburgo, dal 2009, tutti i membri del Parlamento europeo (736) percepiscono uno stipendio base di 7.655 euro lordi al mese. Un’indagine de Il sole 24 ore ha svelato i nomi dei politici che ci sono costati di più negli ultimi anni. Eccone alcuni: • Beppe Pisanu (Pdl), in 40 anni di onorata carriera parlamentare (come onorevole o senatore), ha guadagnato oltre “5,5 milioni” di euro; • Giorgio La Malfa (gruppo Misto), in altrettanti anni, 5,4 milioni; • Mario Tassone (Udc), in 36 anni, 4,9 milioni; • Francesco Colucci (Pdl), in 35 anni, 4,8 milioni; • Filippo Berselli (Pdl), Altero Matteoli (Pdl), Pier Ferdinando Casini (Udc) e Gianfranco Fini (Fli), in 31 anni, hanno incassato rispettivamente 4,2 milioni di euro; • Carlo Vizzini (gruppo Misto), Domenico Nania (Pdl), Francesco Pontone (Pdl), Anna Finocchiaro (Pd), Livia Turco (Pd), Teresio Delfino (Udc) e Luigi Grillo (Pdl), in 27 anni, hanno ricevuto 3,6 milioni di euro a testa; • Giuseppe Calderisi (Pdl) e Calogero Mannino (Udc), in 26 anni, hanno accumulato 3,5 milioni di euro l’uno; • mentre Massimo D’Alema (Pd), in “soli” 25 anni, 3,4 milioni di euro. Le fortune politiche di appena 18 tra i più noti politici italiani ci sono costate, in conclusione, “77,8 milioni” di euro! Quante vite dovrebbe vivere un operaio o un impiegato per ambire a simili guadagni?! Solo i cinque senatori a vita che oggi siedono in Parlamento (“di diritto”, come Ciampi in qualità di ex Presidente della Repubblica; o “di nomina presidenziale”, come Mario Monti) ci costano “600.000 euro” l’anno a testa! Stipendi d’oro di cui beneficiano personaggi, pur se di prestigio: • “non eletti” -contrariamente ai propri colleghi parlamentari-; • con un incarico “a vita” -come nelle migliori democrazie!-; • e “improduttivi”, risultando -per ovvie ragioni anagrafiche- tra i membri del Parlamento più assenteisti: alcuni, veri e propri “desaparecidos”, scomparendo dalla scena pubblica dopo la loro elezione! Ha ancora senso, allora, mantenere in vita questa figura??? Solo nel 2011: • su un costo complessivo di funzionamento del Senato di 603.100.000 euro, la spesa per gli stipendi dei senatori è assommata a “71.225.000 euro”; • su un bilancio di 1.070.994.520 euro della Camera, il costo degli stipendi dei deputati è ammontato a “167.050.000 euro”; • le pensioni dei parlamentari sono costate “79.200.000 euro” al Senato e “138.200.000 euro” alla Camera; • ogni seduta parlamentare è costata “3.332.044 euro” al Senato (essendosene svolte 181 in tutto il 2011) e “7.046.017 euro” alla Camera (essendosene tenute solo 151); • il Parlamento italiano è costato più dei parlamenti di Francia, Germania, Inghilterra e Spagna messi insieme (fonte Libero, 30/01/2012); • e la Camera ed il Senato italiani, insieme, sono costati circa “100 milioni di euro in più” rispetto al Congresso ed al Senato americani (fonte Corriere della Sera, 18/07/2011). Come ultima chicca, aggiungiamo pure che, mentre ogni italiano spende “27,15 euro” l’anno per mantenere il proprio Parlamento (fonte La Stampa, 30/01/2012): • in Francia ogni cittadino spende 8,11 euro (tre volte meno); • negli Usa 5,10 euro (cinque volte e mezzo meno). • in Inghilterra 4,18 euro (quasi sette volte meno); • in Spagna soli 2,14 euro (dieci volte meno!). Occorre assumere nuovi superconsulenti al Governo o chiedere ulteriori suggerimenti agli utenti del web per scoprire dove si annidano le più robuste “sacche di spreco” di denaro pubblico in Italia??? IL COSTO “EXTRAEUROPEO” DEI NOSTRI EURONOREVOLI Un europarlamentare italiano, per svolgere la sua attività a Strasburgo, percepisce un’indennità di funzione di “11.190” euro lordi mensili, pari a oltre “134.000” euro l’anno. Voce d’entrata a cui ulteriormente sommare (fonte La Repubblica): • un gettone di presenza, di “306 euro” per ogni partecipazione alle sedute dell’Europarlamento; • una diaria di soggiorno, di “9.000 euro” mensili (pari a 290 euro al giorno); • un rimborso spese di viaggio, dal 2009 non più forfettario ma correlato alle spese sostenute e documentabili; • un rimborso spese di assistenza parlamentare, di 17.570 euro al mese; • una indennità di segreteria, di 4.200 euro mensili. Cifre “impressionanti”, ma che risultano “inaccettabili” al confronto con le indennità percepite dagli altri euronorevoli (fonte “Times”): • un europarlamentare austriaco percepiva, fino al luglio 2009, soli 106.583 euro lordi l’anno; • un olandese 86.125 euro; • un tedesco 84.108 euro; • un irlandese 82.065 euro; • un inglese 81.600 euro; • un belga 72.017 euro; • un danese 69.264 euro; • un greco 68.575 euro; • un lussemburghese 66.432 euro; • un francese 62.779 euro; • un finlandese 59.640 euro; • uno svedese 57.000 euro; • uno sloveno 50.400 euro; • un cipriota 48.960 euro; • un portoghese 41.387 euro; • uno spagnolo 35.051 euro; • uno slovacco 25.920 euro; • un ceco 24.180 euro; • un estone 23.064 euro; • un maltese 15.768 euro; • un lituano 14.196 euro; • un lettone 12.900 euro; • un ungherese 9.132 euro; • un polacco addirittura 7.369,70 euro (sempre lordi, sempre all’anno, s’intende!). Forse gli europarlamentari italiani “eccellono” su tutti gli altri per la loro operosa partecipazione ai lavori del Parlamento di Strasburgo? Tutt’altro! I nostri eurodeputati risultano “i meno presenti”: una volta su tre rimangono a casa, mentre i finlandesi hanno un tasso di presenze del 90%, i tedeschi di poco inferiore e così pure gli europarlamentari di altre nazionalità (fonte l’Espresso). Come giustificare, allora, una simile maggiorazione nella loro retribuzione? Forse i nostri euronorevoli, pur se assenteisti, si distinguono dagli altri per il loro rendimento? Niente affatto! Gli europarlamentari italiani eccellono, casomai, per tassi “scandalosamente bassi” di produttività: su 78 nostri parlamentari in Europa, 61 non hanno mai presentato una relazione e 17 non si sono mai scomodati nemmeno d’aprir bocca in Aula! Euronorevoli “assenteisti e fannulloni”: perché, allora, premiarli con gli stipendi più alti di Strasburgo?! Forse il “mestiere” dell’europarlamentare è giudicato alla pari di un lavoro “usurante”? Forse allontanarsi dal Bel Paese per qualche giorno a settimana è ritenuto una fatica insostenibile, enormemente maggiore che staccarsi dalla fredda Germania o dalla povera Polonia??? O forse, pensando alla gente che “realmente” lavora col sudore in fronte per sbarcare faticosamente il lunario, è un’offesa anche solo considerare un “mestiere” l’attività politica?! Non sappiamo se anche negli scranni più alti di Strasburgo qualcuno si sarà posto gli stessi interrogativi. Quel che è certo è che il Parlamento europeo, adottando il nuovo Statuto parlamentare (luglio 2009), è intervenuto sulle ingiustificate diversità di trattamento economico degli europarlamentari: 1. equiparando l’indennità degli europarlamentari, a prescindere dalle loro nazionalità, a “7.655 euro” lordi mensili (spesa a carico del bilancio del Parlamento europeo, non più dei parlamenti nazionali); 2. e sostituendo il rimborso generico e forfettario delle spese con un rimborso delle sole spese giustificate e documentate. “Arcano” risolto, dunque? Macché! L’equiparazione degli “euro-stipendi”, in realtà, poteva essere soggetta a deroga: prerogativa che il nostro Paese non ha perso tempo ad esercitare! Gli europarlamentari italiani, pertanto, continuano a beneficiare di un trattamento retributivo equiparato non a quello dei loro colleghi di Strasburgo ma a quello dei loro colleghi di Montecitorio! Il “quantum in più” percepito dai nostri euronorevoli, ovviamente, non è a carico del Parlamento europeo, bensì del nostro Parlamento nazionale… Nessuno scrupolo, però: tanto “paga sempre Pantalone” (ovvero noi cittadini!). TANTO PER RIDERE: I “TAGLI” AGLI STIPENDI DEI PARLAMENTARI… Tra i primi impegni che si è assunto il governo Monti vi è stato quello di ridurre i costi della politica. A tal fine, si è dato mandato alla cd. “Commissione Giovannini” di parametrare gli stipendi dei politici italiani entro la media europea. Il risultato, ancora una volta, è stato gattopardesco: si è “deciso di non decidere”! La Commissione, difatti, ha gettato la spugna, dichiarandosi impossibilitata a completare il proprio lavoro, sia per mancanza di tempo sufficiente, sia per la difficoltà di comparare costi di assetti istituzionali diversi. Nella relazione conclusiva, però, la Commissione non ha potuto fare a meno di riconoscere ciò che già risultava evidente anche all’uomo della strada: i parlamentari italiani sono i più pagati d’Europa! Perché, a questo punto, il Parlamento non si è mosso autonomamente per ridurre le proprie spese (non limitandosi a “ritocchi minimali” o a tagli “marginali”)? Perché, all’estrema velocità con cui si aumentano le tasse per “far cassa”, corrisponde una snervante lentezza nell’operare tagli ai costi della politica (che fine ha fatto, ad esempio, il tanto sbandierato dimezzamento del numero dei parlamentari)??? E per quale stramba ragione i parlamentari italiani vanterebbero il diritto “esclusivo” di veder parametrata la propria retribuzione alla media dei sei paesi più ricchi d’Europa (pur non disponendo affatto il nostro Paese degli stipendi tedeschi o del Pil francese)?! A ognuna di queste obiezioni, la politica risponde, infastidita, sempre alla stessa maniera: “Questa è demagogia!”, “ci siamo messi a dieta…”, “abbiamo già stretto la cinghia!”… Ma quanto è stata effettivamente stretta la cinghia? Quanto la politica, per lungo tempo “famelica e ingorda”, potrebbe ulteriormente dimagrire? Qualche “dimagrimento”, in effetti, c’è stato. Eccone il risultato: PRIMO: L’indennità di funzione: • nel 2006 (ex legge finanziaria) è stata ridotta del 10%; • nel 2008 (ex legge finanziaria) ne sono stati sospesi gli adeguamenti retributivi per 5 anni (misura prorogata fino a tutto il 2013); • nel 2011 (ex decreto legge n.138) è stata ulteriormente ridotta, ma “solo” per il triennio 2011/2013, nella misura del 10% per la parte eccedente i 90.000 euro e del 20% per la parte eccedente i 150.000 euro lordi annui (riduzione raddoppiata per i parlamentari che svolgono un’attività lavorativa per la quale percepiscono un reddito uguale o superiore al 15% dell’indennità parlamentare); • nel 2012 (con deliberazioni degli Uffici di Presidenza della Camera, 30 gennaio 2012, e del Senato, 31 gennaio 2012), è stata decurtata di 1.300 euro “lordi” al mese. SECONDO: La diaria, con deliberazioni degli Uffici di Presidenza della Camera (27 luglio 2010) e del Senato (25 novembre 2010), è stata: • ridotta a 3.503 euro al mese (rispetto ai 4.000 euro precedenti); • e soggetta a ulteriori decurtazioni per ogni assenza dei parlamentari dai lavori parlamentari. TERZO: Il rimborso delle spese per l’esercizio del mandato, nel 2012: • alla Camera (con deliberazioni dell’Ufficio di Presidenza del luglio 2010 e gennaio 2012) è stato ridotto di 500 euro (portandolo a 3.690 euro netti al mese) e corrisposto solo per il 50% forfetariamente (per il restante 50% a titolo di rimborso per specifiche categorie di spese documentate); • al Senato, invece, è stato ridotto a 2.090 euro e erogato a titolo di rimborso delle spese effettivamente sostenute. QUARTO: I vitalizi parlamentari: • nel 2007 sono stati ridotti e si è raddoppiato il periodo minimo di mandato richiesto per maturarne il diritto (da 2 anni e 6 mesi a 5 anni); • dal 1° gennaio 2012 (con deliberazioni degli Uffici di Presidenza della Camera, 14 dicembre 2011 e 30 gennaio 2012, e del Senato, 31 gennaio 2012), sono stati aboliti e sostituiti da una pensione contributiva. SVELATO “L’ARCANO”: L’INGANNO DEI “FINTI TAGLI” AI COSTI DELLA POLITICA! Se dei tagli ci sono effettivamente stati, restano comunque delle “sconcertanti verità”: PRIMO: Come spiegare il fatto che, nonostante i “pesanti” (?) sacrifici cui si è sottoposta la politica: • i parlamentari italiani restano i più pagati d’Europa; • il divario tra la retribuzione media di un lavoratore e di un suo eletto resta incolmabile; • e Montecitorio risparmierà soli “150 milioni” di euro in tre anni (il “5%” del suo costo generale!), mentre Palazzo Madama appena “4 milioni” di euro rispetto al 2011 (su una dotazione di “542 milioni” per il 2012)? SECONDO: I presidenti Fini e Schifani hanno pomposamente enfatizzato la recente scelta dei parlamentari di ridursi lo stipendio di 1.300 euro. Ma come non ricordare che: • i 1.300 euro indicano un importo “lordo” (il taglio effettivo è ammontato a soli “700 euro”); • mentre la busta paga netta di deputati e senatori è rimasta “invariata” (essendo stato contestualmente abolito l’obbligo per i parlamentari di versare i contributi previdenziali, guarda caso pari a 700 euro al mese)? TERZO: Tutti ripetono, ad ogni piè sospinto, che i vitalizi sono stati aboliti. Ma, pur col nuovo sistema contributivo, a un parlamentare sono sufficienti: • “5 anni di mandato” per maturare il diritto alla pensione (non 35, come per qualsiasi comune cittadino); • e “60 anni d’età” per ricevere il primo assegno, dopo aver ricoperto appena due mandati (non 66 anni, come per ogni altro elettore). L’abolizione dei vitalizi, poi: • non ha intaccato di 1 solo euro i “2.308” vitalizi già maturati (il nuovo calcolo contributivo si applicherà solo a coloro eletti dalla prossima legislatura); • e non ha cancellato l’assegno di fine mandato, l’ultimo generoso regalo concesso a chi di tutto avrebbe bisogno fuorché di assistenza per reinserirsi nel mondo del lavoro! QUARTO: Oltre l’inganno, anche la beffa! Mentre l’Italia “sta morendo di speranza”, si scopre che il magro e supertecnico governo Monti ci costa in stipendi quasi “il doppio” rispetto al pletorico governo politico Berlusconi: 4,8 milioni di euro, a fronte di 2,8 milioni (fonte Il Giornale). Mentre i 23 ministri, i 3 viceministri e i 38 sottosegretari del Cavaliere guadagnavano tra i 40 e i 50.000 euro l’anno, grazie ad una legge del 1997 del governo Prodi, i nuovi supertitolati ministri, non percependo alcuna indennità parlamentare, godono di stipendi di “132.000 euro” lordi annui! Senza considerare il premier Monti, che, cumulando anche la carica di senatore a vita, in un anno intasca circa “300.000 euro” (fonte Il Giornale). PER UNA POLITICA AL SERVIZIO DEI CITTADINI (E NON UNO STATO AL SERVIZIO DELLA POLITICA!) PRIMO: PERCHÉ NON DIMEZZARE IL NUMERO DEI PARLAMENTARI? Se negli Usa (Paese esteso 30 volte l’Italia e con una popolazione quadrupla) il Senato federale è composto da 50 membri e il Congresso da 435, perché mai in Italia non basterebbero 315 deputati e 157 senatori?! SECONDO: PERCHÉ’ NON ABOLIRE LA FIGURA DEI SENATORI A VITA? Come giustificare una carica tanto inutile quanto antistorica, ovvero gli unici parlamentari “non eletti” -come nelle migliori democrazie- e “a vita”-come solo i papi e i restanti monarchi nel mondo-?! TERZO: PERCHÉ NON ABOLIRE TUTTI GLI EMOLUMENTI a vario titolo DEI PARLAMENTARI (diaria, rimborsi, contributi, assegni di fine mandato, benefit vari…), SOSTITUENDOLI CON UN’UNICA INDENNITÀ’ DI FUNZIONE, DALL’IMPORTO MASSIMO DI “5.000 EURO” NETTI MENSILI? Perché un compenso “più che doppio” rispetto alla media della retribuzione di qualsiasi comune cittadino non sarebbe sufficiente a garantire ai nostri eletti un minimo di sussistenza economica e autonomia politica?! QUARTO: PERCHÉ NON CONCEDERE L’INDENNITÀ PARLAMENTARE SOLO A CHI RINUNCIA, per il corso della legislatura, AD ESERCITARE QUALSIASI ALTRA PROFESSIONE? Perché retribuire allo stesso modo quei politici che si pongono a tempo pieno “al servizio” della Nazione e quelli che riservano alla politica solo il tempo libero che gli residua dalle loro private professioni? E PERCHÉ NON RICONOSCERE A QUEI PARLAMENTARI CHE SCEGLIEREBBERO comunque DI SVOLGERE ALTRE ATTIVITÀ professionali solo UN “CONTRIBUTO SPESE”, DALL’AMMONTARE MASSIMO DI “1.000” EURO MENSILI? QUINTO: PERCHÉ NON ABOLIRE LE “DOPPIE INDENNITÀ”, ovvero la possibilità per i parlamentari che assumono contestualmente altre cariche di cumulare più emolumenti (ad esempio, nel caso di parlamentari-sottosegretari, deputati-ministri, premier-senatori…)? SESTO: PERCHÉ NON TAGLIARE I “VITALIZI D’ORO” (2.308 i vitalizi parlamentari ad oggi erogati, 3.385 quelli regionali), PONENDO UN TETTO MASSIMO DI “3.000 EURO” MENSILI? “I diritti acquisiti non si toccano!”, ripetono in coro i nostri eletti… Com’è possibile, allora, che solo i politici vantino tali diritti? Perché lo stesso principio non è valso per i pensionati o gli esodati, duramente penalizzati dalla Riforma Fornero? Perché tale diritto non lo vanterebbero i pubblici impiegati, per i quali, se la situazione finanziaria lo imponesse, si prospetta la cancellazione delle tredicesime? Com’è possibile che nel ‘92 si è potuto addirittura intaccare il conto corrente degli Italiani, mentre oggi non si può nemmeno chiedere un sacrificio in più ai contribuenti più abbienti? “Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora, ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi” QUIRINO 1