venerdì 30 novembre 2012
LA GRANDE TRUFFA "I.N.P.S."
La grande truffa
Quando nel 1933 fu creato Istituto Nazionale della Previdenza Sociale il suo scopo era quello di fornire delle prestazioni previdenziali differite, al lavoratore che avesse versato contributi per un certo numero di anni fissato dalla legge ed avesse raggiunto un’età anch’essa stabilita dalla legge; raggiunti questi due traguardi il lavoratore veniva collocato a riposo e poteva affrontare gli anni di vita che gli restavano godendo di un vitalizio che lo Stato gli garantiva.
In sostanza chi lavorava versava dei contributi che erano suoi e che andavano a formare una somma, la quale gestita dall’ente, poteva permettere l’erogazione delle somme necessarie. Qui va chiarito subito un concetto importante: ogni lavoratore aveva, ed ancora ha, una sua specifica posizione personale, versava delle somme che sono sue e delegava l’ente a gestirgliele al meglio per garantirgli il suo vitalizio futuro. Nel 1933 era stato posto in essere un tacito patto generazionale per cui ognuno versava delle somme che servivano alla erogazione di prestazioni pensionistiche, i vecchi come i nuovi lavoratori: i patti erano chiari, si lavorava un certo numero di anni, si arrivava ad un massimo di età ed al raggiungimento di quel traguardo, l’ente erogava la pensione. Questo senza intaccare il capitale, ma solo con gli interessi che esso produceva: in sostanza quello che ogni istituto di assicurazioni fa con chi sottoscrive qualsiasi tipo di polizza vita. Niente di trascendentale o di complicato: la mutualità creava la forza per fare tale tipo di cose.
Per sgombrare il campo da altre leggende metropolitane, è bene aggiungere che nel 1939, vennero create anche le gestioni assicurative separate contro la disoccupazione, la tubercolosi e creati gli assegni familiari.
Nel 1968 viene riconosciuto ai cittadini bisognosi che hanno compiuto 65 anni di età, una pensione che soddisfi i primi bisogni vitali. Nasce anche la Cassa Integrazione guadagni straordinaria.
Tutto ciò sempre e comunque con versamenti ritirati dalla busta paga dei lavoratori dipendenti.
In pratica si garantivano delle prestazioni ai lavoratori che prendevano corpo dai versamenti obbligatori dei medesimi, certo non venivano riconosciuti degli interessi montanti sulle somme versate, né si poteva scegliere, come nelle polizze assicurative, tra vitalizio o capitale: quest’ultimo restava sempre di pertinenza dell’ente previdenziale, anche per garantire, con una sana e prudente amministrazione, l’erogazione delle prestazioni. Insomma si rinunciava a qualcosa di proprio, per favorire anche coloro che in futuro dovevano andare in pensione: tutto sommato una cosa equa.
Con il passare degli anni tutta questa linearità è svanita: è vero che l’allungamento della vita ha creato un prolungamento delle prestazioni, ma dobbiamo anche dire che i salari sono aumentati e, cosa non trascurabile, il livello dei contributi alzato di molto; il sistema dovrebbe essere equilibrato.
Oggi sembra che tutto ciò si sia vanificato!
Pare che i contributi non siano più delle somme di proprietà di chi li versa, ma siano una tassa che lo Stato richiede ai suoi cittadini e che questi, quasi quasi, pretendano prestazioni superiori a quanto sia possibile erogare e che le generazioni future non si sa se potranno usufruire di tali prestazioni. In corso d’opera, intere generazioni che avevano firmato un contratto di lavoro si sono viste, attraverso degli interventi legislativi discutibili, cambiare questi diritti acquisiti, per cui dovranno lavorare quaranta anni o più, andare in pensione più tardi ed avere delle prestazioni più basse. E tutto ciò in base a quali principi?
I fondamenti che avevano creato la previdenza non esistono più: dalla certezza di un futuro sereno alla fine del periodo di lavoro si è passati ad una totale ed assoluta mancanza di una benché minima base di sicurezza.
Le somme versate non sono sempre di proprietà di chi le versa? Sembrerebbe di no e che lo Stato sia diventato il proprietario indebitamente di esse e che, a causa del perenne stato di crisi, sia in grado di negare per legge qualsiasi tipo di diritto acquisito: ma ciò per tutti? Assolutamente no! Certe categorie sono privilegiate ed intoccabili: i magistrati, ad esempio, stabiliscono che certe leggi per loro non valgono. E cosa poi dire dei parlamentari o dei ministri? Loro sono «la casta degli Intoccabili», i sacrifici li facciano i fessi: certe somme che le portino i paria che lavorano. Loro no di certo!
Che dire poi del famoso TFR (trattamento fine rapporto) anche questo pagato con esborso oneroso detratto dalla busta paga: da una mensilità (di solito l’ultima percepita dal lavoratore) per ogni anno lavorativo corrispondente grosso modo all’ottanta per cento del versato, si è passati ad erogare all’avente diritto solo l’ottanta per cento di questo ottanta per cento: altra colossale truffa!
Ma andate a vedere se i manager di Stato percepiscono tali somme o se addirittura il TFR non venga concordato e lo Stato eroghi somme milionarie a questi figuri che spesso portano al quasi fallimento delle società loro affidate. Ed i politici? Meglio calarci sopra un pietoso velo!
A rendere tutto più incerto e fumoso ci si è messa anche l’Europa che spinge i governi a saccheggiare la previdenza ed a rendere le prestazioni pensionistiche sempre più scarne e magre.
Ma non basta ed il sacco continua.
In questo ultimo periodo si parla sempre di più di un intervento operato sul settore pensionistico che riguarda tutta una serie di lavoratori, sia del settore pubblico che di quello privato, che hanno versato i loro contributi previdenziali ad enti differenti (1).
La logica ed il buon senso vorrebbe che i vari contributi pagati e trattenuti dalle buste paga di questi lavoratori venissero cumulati in quanto il soggetto contributivo ha comunque svolto una mansione lavorativa ed ha accumulato un monte anni di contributi previdenziali.
A questo va aggiunto che in passato la normativa prevedeva la ricongiunzione dei medesimi contributi presso l’ultimo ente assicurativo con cui il lavoratore stava versando le sue spettanze contributive. Tale operazione in linea di massima non era onerosa: quindi un lavoratore dipendente che fosse stato soggetto a contributi INPS regolarmente versati sia da lui che dal datore di lavoro, si vedeva riconosciuti per intero gli anni e mesi di contribuzione versata, presso l’ultimo ente.
Se si fosse verificata una carenza o mancanza di contribuzione, solo in questo caso per non avere periodi scoperti e quindi non validi ai fini del calcolo di anni validi ai fini pensionistici, il dipendente poteva chiedere il riscatto dei periodi privi di effettiva contribuzione.
Nel 2010 il ministro Sacconi, nel quadro di una serie di misure urgenti richieste dall’Europa per la stabilizzazione finanziaria e la competitività economica, presentava al Parlamento, che l’approvava in data 30 luglio 2010, la legge numero 122 che convertiva in legge il decreto numero 78 del 31 maggio 2010
L’articolo 12 septies della suddetta legge prevede che la ricongiunzione dei contributi assicurativi sia onerosa, cioè a dire, che pur in presenza di contributi regolarmente versati, il dipendente per ottenerne il ricongiungimento deve sottostare ad un calcolo effettuato con le stesse tecniche del riscatto: quindi, per esempio, un lavoratore che volesse ricongiungere quattro anni di contributi versati presso l’INPS, con domanda presentata all’INPDAP, vedrà presentarsi, da parte di quest’ultimo ente, un salato conteggio, perché dovrà versare di nuovo tutti i contributi, come se nulla fosse stato effettuato, nel periodo in questione. Ciò è giusto in presenza di richiesta di riscatto (per esempio gli anni universitari) dove nessun contributo è stato versato e quindi è necessario effettuare i versamenti tenendo conto dell’età in cui viene presentata la domanda, degli anni mancanti al pensionamento, dello stipendio percepito al momento della presentazione della domanda e quant’altro. Il tutto richiede la definizione di parametri di riferimento ottenuti con complicati calcoli attuariali. Ma nel caso specifico di ricongiunzione i contributi già versati che fine hanno fatto?
Né è giustificabile la preoccupazione che i soggetti potessero scegliere di ricongiungere all’INPS i contributi e quindi poter usufruire di una età più bassa per il collocamento a riposo, in quanto di fatto la regola del riscatto oneroso vale per il ricongiungimento verso qualsiasi ente. Tutto ciò a partire dal primo luglio 2010, quando, invece, la legge è stata approvata in data 30 luglio quindi con effetti retroattivi, previsti soltanto per questo argomento specifico.
Come vedete, ci troviamo di fronte ad un’aberrazione giuridica: la legge in generale produce sempre i suoi effetti ex nunc mai ex tunc, questo per il concetto della certezza del diritto, un soggetto non può essere dotato di capacità divinatorie e nel momento in cui pone in essere dei comportamenti legalmente concludenti (2), non può assolutamente essere considerato in mala fede se non esiste nessun tipo di normativa che vieti un tale tipo di comportamento. Quindi qui siamo in presenza di un approccio al problema del tutto truffaldino da parte del legislatore: né è possibile addurre come giustificazione che ci troviamo in presenza di un tipo di normativa di carattere finanziario o fiscale. In pratica il buon ministro Sacconi ha imposto ai soggetti di ripagare per intero di nuovo la propria quota e quella del datore di lavoro per poter usufruire della validità di anni di lavoro ai fini pensionistici.
Un altro dubbio sorge in merito: ma i precedenti contributi che fine hanno fatto? Forse che sono spariti oppure sono stati utilizzati da lorsignori per altri scopi?
Secondo un articolo apparso su Libero di domenica 25 novembre a firma di Sandro Giacometti apprendiamo che secondo la Ragioneria dello Stato per risolvere questo problema dei ricongiungimenti onerosi occorrerebbero 2,4 miliardi di euro, mentre secondo l’INPS sarebbero sufficienti solo 1,4 miliardi di euro, per la Commissione Lavoro alla Camera la cifra sarebbe di 900 milioni di euro spalmati su dieci anni.
Strana cosa: ma i contributi non erano stati regolarmente versati? Quindi queste somme erano già in possesso dei vari enti previdenziali: in base a quale alchimia ora diventano dei debiti da colmare con degli esborsi da parte dei soggetti interessati, oppure con un intervento da parte del governo, quindi con nuove tasse? Non occorrono ulteriori versamenti per coprire un minor introito.
Tali somme da esborsare da chi sono state inventate?
Il governo deve solo riportare la situazione quo ante alla promulgazione di questa insensata legge: qui i soggetti non devono riscattare nulla, la loro posizione contributiva deve soltanto essere spostata da un ente ad un altro con una semplicissima operazione contabile: fine dei discorsi. Tutto ciò se ci si trova in presenza di posizioni contributive identiche: quindi con contributi sufficienti a coprire il dovuto come se il dipendente avesse sempre lavorato con l’ultimo ente previdenziale.
Se il lavoratore non volesse ricongiungere presso un solo ente tutti i suoi contributi, può tranquillamente, rebus sic stanti bus, ricorrere alla «totalizzazione dei periodi assicurativi» come da decreto legislativo numero 42 del 2 febbraio 2006; in questo caso la domanda di pensionamento va presentata all’ente presso il quale presta servizio e la pensione viene calcolata con il sistema «pro rata», ovvero ognuna delle casse previdenziali corrisponde la sua quota di pensione. La pensione viene erogata dall’ultimo ente assicurativo, il quale poi si fa rimborsare la quota spettante dall’altro, in base al sistema contributivo vigente.
I diritti acquisiti sfumano, i patti sociali vengono vanificati o calpestati. Sempre di più si fa strada, nella mente della gente, una domanda: ma tutte queste enormi masse di denaro che fine fanno? Come vengono investite, quanto rendono? (3). Chi strategicamente decide come impiegarle?
Segreti latomici, misteri, alchimie finanziarie che nessuno ha il diritto di conoscere. Nessuno ha il diritto di sapere o di chiedere un rendiconto agli amministratori sulla gestione di questi miliardi di euro: e ci mancherebbe che per caso sono soldi nostri?
Azzardatevi a sospendere il pagamento dei contributi e vedete che «ragionevoli interessi», quali more, previste dalla legge, vi verranno applicate da questi sciacalli. Se poi loro indebitamente escutono delle somme non dovute si apre «una voragine nei conti dell’INPS» ed i pennivendoli di regime ci somministreranno ancora nuove e massicce dosi di ansia e di inesatte notizie.
QUIRINO 1
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