QUEL
VOLO DEGLI “ANGELI DEL BENE” SU MY LAI
A loro piace essere chiamati gli Angeli del Bene, incensati dalla Divina Provvidenza ed inviati su
questo triste pianeta per
lottare contro le Forze del Male in
quei tempi impersonati dal Nazionalsocialismo e dal fascismo. Loro, dopo l’abbattimento delle due bieche tirannie hanno continuato (e
continuano) a lottare contro ogni nemico che, di volta in volta, è impersonato
nel maligno. Loro hanno punito tutti
i tiranni che si sono resi colpevoli di stragi e malvagità.
In questa lotta contro le Forze del Male, gli Angeli del Bene hanno operato su tutto il globo ove hanno lasciato
la loro traccia a Stelle e Strisce.
Un volo di questi Angeli è poco conosciuto e proviamo a proporlo: riguarda un
episodio (uno fra i mille e mille) che avvenne durante la guerra del Vietnam.
My Lai è un piccolo villaggio vicino alla
costa del Vietnam Centrale. Gli abitanti vivono di pesca e di agricoltura.
Quanto stiamo per ricordare proviene da
fonti statunitensi e, quindi, al di sopra di ogni sospetto
La Compagnia Charly del 1° battaglione di
fanteria americano si era formato e addestrata in Georgia e alle reclute <era stato insegnato lo spirito della
baionetta che era quello di uccidere>. Niente di strano: erano soldati e
loro dovere era quello di uccidere il nemico.
Al
termine dell’addestramento gli uomini della Compagnia Charly giunsero nel
Vietnam dalle Hawaii, nel dicembre 1967. La Compagnia era considerata la
migliore del battaglione, i loro componenti provenivano da ogni parte degli
Stati Uniti e appartenevano a famiglie della media borghesia americana.
La Compagnia Charly per alcune settimane fu
sottoposta a ripetuti scontri con i vietcong della zona di My Lai. Durante uno
di questi combattimenti quattro soldati americani rimasero uccisi e 38 feriti.
Immediatamente fu predisposta una
rappresaglia. I servizi segreti statunitensi ritenevano che a My Lai risiedesse
il Quartier Generale dei vietcong. Era una informazione errata.
Il 15 marzo 1968 fu messo a punto l’attacco
contro il villaggio e l’ordine venne dal colonnello Herald Anderson, comandante
della brigata, e trasmesso al capitano Ernest Mandela, comandante della
compagnia Charly.
Nessuno del comando ammise mai la propria
responsabilità per ciò che accadde.
Il sergente Kennet Hodges, reduce di
quell’operazione, ha testimoniato: <In
pratica era stato dato l’ordine di uccidere tutti nel villaggio. Qualcuno
chiese se dovevamo uccidere anche le donne e i bambini; l’ordine era di
uccidere tutti, donne, vecchi e bambini>.
L’attacco su My Lai avvenne, come in molti
altri casi, con gli elicotteri. Erano appena passate le sette del mattino ed
era sabato. Secondo i Servizi Segreti, a quell’ora tutti i civili erano al
mercato e al villaggio sarebbero rimasti solo i vietcong. I primi elicotteri
arrivarono su My Lai alle 7,35; in venti minuti tutti i 120 uomini e i cinque
ufficiali della compagnia avevano preso terra e nessuno sparò alcun colpo
contro di loro, né ci fu alcun cenno di resistenza.
Racconta una donna, Phan Thi Tuan, scampata
al massacro: <Mi stavo avviando al
lavoro nei campi, quando sono arrivati gli elicotteri. Hanno cominciato a
sparare. La gente non sapeva dove nascondersi. Ci dicevano di sederci e noi ci
sedevamo; ci dicevano di alzarci in piedi e noi ci alzavamo. Poi ci hanno
spinto in una trincea e hanno sparato. Io e i miei figli eravamo lì dentro con
tutti quei morti>.
Un reduce, Varnando Simpson,
racconta: <Lei stava correndo,
voltandomi le spalle, lungo una fila di alberi, Portava qualcosa in braccio,
non so se era un’arma o qualcosa d’altro, ma sapevo che era una donna. Non
avevo intenzione di sparare a una donna, ma era stato dato l’ordine di sparare
e feci fuoco. Poi vidi il bambino, feci fuoco tre o quattro volte. Le pallottole
attraversarono lei e il bambino. Mi voltai e vidi la faccia del bambino
spaccata a metà; gli mancava proprio la metà. Quel giorno fui responsabile
della morte di venti, venticinque persone. Io ho sparato, tagliato gole,
scotennato, ho tagliato mani e lingue. Sì, ho fatto tutto questo. Io!>.
Fred William, anche lui reduce da quella
missione testimonia: <La cosa più
sconvolgente che vidi fu un ragazzo. È stata una scena che mi perseguita e mi
tormente da allora. A questo che gli avevano sparato alle braccia e le braccia
gli pendevano lungo il corpo. Aveva una espressione stupita sul viso per quello
che gli stavo per fare… Era come se mi chiedesse: cosa ho fatto di male? Ho
sparato, l’ho ucciso… preferisco pensare che il mio fu un atto di pietà, perché
qualcun altro lo avrebbe ucciso, alla fine>.
Un’altra donna, So Thi Qui: <Cadevamo come anatre con la testa in giù;
gridavano: pietà, pietà, lasciateci andare, siamo innocenti, pietà. Fucilarono
tutti lo stesso. Poi il silenzio. Bambini piccoli si trascinavano a quatto
gambe lungo il bordo della fossa. Ero ferita, ma riuscii a trascinarmi sino a
casa. Là, per terra stava distesa una donna nuda: era stata violentata. C’era
anche una ragazza con la vagina squartata. Ancora non riusciamo a capire perché
si siano comportati così>.
E il raccnto di una giovane
donna, Phan Thi Trin: <Ho guardato
fuora dalla finestra e ho visto mia sorella Mun; quell’anno avrebbe compiuto 14
anni. Un americano le stava sopra e lei non aveva niente addosso. Mia sorella
tentava di resistere, poi l’americano si è tirato su, si è rivestito e l’ha
uccisa. Usciii dal mio nascondiglio. La mia casa era stata distrutta dalle
fiamme; nel cortile i miei cari giacevano bruciati vivi. Mia madre stringeva
ancora fra le braccia il mio fratellino: mio fratellino che aveva sette mesi e
il suo corpo era quasi completamente carbonizzato. Mi sono accasciata accanto
al corpo di mia madre, a piangere>.
Le comunicazioni radio rivelarono che il
comando era a conoscenza del massacro. Il capitano Thompson quel giorno era a
bordo del suo elicottero e in quelle ore volava basso sul luogo dell’eccidio.
Quando vide che i soldati avanzavano verso un gruppo di donne e di bambini
indifesi, ordinò al suo equipaggio di puntare le armi contro i suoi compagni a
terra. Qualora questi avessero sparato contro i civili <avrei sparato su di essi. In quel momento erano loro i miei nemici. Per
fortuna non fu necessario dare l’ordine di far fuoco>.
La testimonianza del sergente Kenneth Hodges
è sintomatica: <Noi abbiamo eseguito
un ordine, e penso che questo sia moralmente accettabile. L’ordine era di
distruggere il villaggio e uccidere gli abitanti. Noi abbiamo eseguito gli
ordini e credo di non aver violato alcuna norma morale>.
Malgrado la totale assenza di qualsiasi
resistenza, il tenente William Calley continuò a ordinare ai suoi uomini di
proseguire il massacro. La maggior parte obbedì, pochi si rifiutarono e fra
questi Hanry Stanley che si oppose di eseguire gli ordini, malgrado le minacce
del tenente Calley.
Alle 11,30 la compagnia Charly fece una
pausa per il pranzo, avevano ucciso più di 400
persone. I giornali americani, giorni dopo, parlarono di una importante
vittoria e di molti nemici uccisi.
Quanto è accaduto a My Lai è stato tenuto
celato per molto tempo. Quando la notizia del massacro si sparse per tutto il
mondo, generò una ondata di sdegno e di orrore. A seguito di ciò gli uomini
della compagnia Charly furono posti sotto inchiesta e si dichiararono <non colpevoli>.
Il comandante, capitano Ernest Mandela,
contestò le accuse con queste parole: <Posso
affermare che non ho visto alcun massacro a My Lai quel giorno>.
Il tenente William Calley, accusato di 109
assassinii si difese sostenendo di aver eseguito degli ordini.
Ebbene dei 46 uomini della compagnia Charly,
colpevoli di assassinii, stupri, mutilazioni, uno solo fu condannato: il
tenente William Calley. Ma l’opinione pubblica americana subì una metamorfosi:
da una situazione di vergogna e di condanna si trasformò in un atteggiamento di
giustificazione e di perdono. William Calley, incarcerato per tre giorni, fu
rilasciato per ordine del presidente Nixon e posto agli arresti domiciliari.
Tre anni dopo la prima sentenza che lo condannava all’ergastolo, fu rilasciato
sulla parola.
A
seguito di quanto sin qui scritto, il passaggio ad un accostamento alle
rappresaglie messe in atto dalle Forze
del Male nel secondo conflitto mondiale, risulta automatico. Ma è un accostamento improponibile, e ci
spieghiamo. Le Convenzioni Internazionali di guerra vigenti sino al termine del 1945 prevedevano,
in ben circostanziati casi, il Diritto di
rappresaglia, in questi termini: <La
rappresaglia, condotta obbiettivamente illecita, diventa, per le particolari
circostanze in cui viene attuata, condotta lecita (…). (La rappresaglia) è una
reazione all’atto illecito, la cui liceità deriva dall’esistenza di un
precedente atto illecito>.
Ne consegue che, pur nella loro ferocia,
stupidità e inutilità, le rappresaglie messe in atto dalle Forze del Male nella seconda guerra mondiale erano, perlomeno, atti leciti.
Invece, nel dopoguerra, il Diritto Internazionale, l’atto, allora lecito, venne modificato : <L’articolo 33 della Convenzione di Ginevra
del 1949, in deroga a quanto prima era consentito dall’art. 50 dei Regolamenti
dell’Aja del 1899 e del 1907, proibisce in modo tassativo le misure di
rappresaglia collettiva, di cui si ebbe abuso delittuoso nell’ultimo
conflitto>.
Di conseguenza tutte le azioni, tutte le
rappresaglie messe in atto dal 1949 in avanti, non essendo ammesse – anzi esplicitamente condannate dal Diritto – debbono essere considerate
semplicemente degli assassinii di massa e gli autori, veri criminali di guerra, perseguibili in ogni momento.
Ci siamo spiegati? >
QUIRINO1
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