sabato 16 marzo 2013
UN NEGRO ANTHONY JOHNSON.
La vera storia della schiavitù americana: il primo schiavista? Un Negro
Pochi sanno – probabilmente nessuno di voi vista la propaganda storica – che il primo uomo a possedere degli schiavi in quelli che ancora non erano gli Stati Uniti d’America, non fu un Europeo, ma un Negro d’Africa.
Il suo nome era Anthony Johnson. Fu lui che nel 1654, quando ancora era una colonia inglese, fece istituire la schiavitù in Virginia. Fino ad allora la schiavitù non esisteva nelle colonie nordamericane, esisteva invece quello che veniva definito indentured servant, ovvero una sorta di “contratto” con il quale il “servo” proveniente dall’Africa si impegnava, in cambio del privilegio di poter emigrare nelle colonie britanniche, ad essere servo del suo padrone per un certo numero di anni, dopo i quali sarebbe stato libero e avrebbe ricevuto una liquidazione e della terra.
Era certamente una servitù pesante, ma non molto dissimile da quella odierna in certe situazioni lavorative e, sicuramente, molto più lieve di quello che avveniva nella Russia zarista dell’epoca con i servi della gleba. Non era la schiavitù che leggiamo nei libri e che vediamo in Tv. La cui nascita fu invece la conseguenza di un ricorso in tribunale presentato appunto da Anthony Johnson, nativo dell’Angola e anch’egli un ex servo divenuto libero alla scadenza del contratto, contro il suo indentured servant, John Casor. Con il ricorso, Johnson chiese ed ottenne l’estensione illimitata del contratto di servitù tra lui e Casor, creando così il primo schiavo della storia nordamericana. Quindi il primo possessore di schiavi del nordamerica, e colui che de facto diede inizio alla tratta dei negri, fu anch’esso un negro. Sorpresa.
Ma non fu l’unico. Moltissimi, dal 1654 fino alla fine della Guerra Civile, furono i proprietari di schiavi africani che erano Africani loro stessi. Questo non dovrebbe essere uno choc per chi conosce la Storia, visto che comunque, da sempre è notorio che furono le élites africane a gestire in loco la vendita dei loro “fratelli” ai mercanti di schiavi europei.
In un saggio, R. Halliburton dimostra che “Negri hanno posseduto altri schiavi negri in ciascuno dei tredici stati originali e poi in ogni stato ove vigeva la schiavitù”, almeno da quando Anthony Johnson e sua moglie Mary aprirono la strada allo schiavismo in un tribunale della Virginia nel 1654.
E per un certo periodo storico molto breve, in Virginia, alcuni di questi Negri potevano addirittura avere al proprio servizio degli indentured servant bianchi. Negri hanno posseduto altri negri come schiavi a Boston dal 1724 ed in Connecticut dal 1783. Nel 1790, dice Halliburton, “48 persone di colore in Maryland erano proprietarie di 143 schiavi, regolarmente acquistati e venduti per il commercio col Sud”.
Pochi sanno che il diritto dei negri a possedere altri negri come schiavi, venne difeso dai primi con la dichiarazione fatta alla vigilia della guerra civile da un gruppo di persone libere di colore di New Orleans, che offrirono i loro servigi alla Confederazione. In parte perché essi temevano di essere loro stessi ridotti in schiavitù, ma soprattutto per interesse.
Due di loro erano Noah Andre Trudeau e James G. Hollandsworth Jr. che, una volta scoppiata la guerra, formarono milizie di neri in “Guardie nativi, Louisiana,” giurando di combattere per difendere la Confederazione e la schiavitù. Anche se il Sud non permise mai loro di scendere al fianco delle truppe bianche.
Quando poi New Orleans cadde alla fine di aprile del 1862, quegli stessi ex-schiavisti neri, giurarono fedeltà all’Unione, costituituendo la Guardia Nativa / Corpo d’Afrique.
Nel 1830, l’anno più attentamente studiato da Carter G. Woodson, circa il 13,7 per cento (319.599) della popolazione nera era libera. Di questa, 3.776 negri liberi possedevano 12.907 schiavi negri, su un totale di 2.009.043 schiavi presenti in tutti gli Stati Uniti.
ALCUNI NOMI E RELATIVE STORIE:
John Carruthers Stanly – nato schiavo in Craven County, Carolina del Nord, figlio di madre Igbo e del suo padrone, John Wright Stanly, divenne un barbiere e speculatore nel settore immobiliare a New Bern. Come Loren Schweninger sottolinea in Proprietari neri del Sud, 1790-1915 , dal 1820, Stanly possedeva tre piantagioni e 163 schiavi, e addirittura assunse tre sorveglianti bianchi per tenere a bada i propri schiavi e gestire la sua proprietà! Ebbe sei figli con una donna schiava di nome Kitty, e alla fine li liberò.
Antoine Dubuclet e sua moglie Claire Pollard possedevano più di 70 schiavi in Iberville. Secondo Thomas Clarkin, nel bel mezzo della guerra civile, possedevano 100 schiavi, del valore di $ 94.700. Durante la l’occupazione nordista, divenne tesoriere dello Stato imposto dai vincitori.
Andrew Durnford era un piantatore di zucchero che possedeva la piantagione di Santa Rosalia, 33 km a sud di New Orleans. Nel 1820, David O. Whitten ci dice , comprò per 7.000 dollari sette schiavi maschi, cinque femmine e due bambini. Nel 1830 ne acquistò altri 24. Alla fine, ebbe acquistato 77 schiavi. Quando un proprietario di schiavi Creolo liberò i suoi schiavi e li spedì in Liberia, Durnford commentò che lui non poteva farlo, perché “l’interesse personale è troppo fortemente radicato nell’atmosfera americana”.
Interessante vero? Da tutto questo emerge che nella questione schiavitù non vi fu, come la propaganda ufficiale ci racconta, una parte “moralmente” superiore all’altra, vi fu semmai una parte più capace dell’altra. Ma questa è tutta un’altra storia.
E che anzi, se una parte meschina moralmente più dell’altra vi fu, questi furono gli schiavisti Africani: perché schiavizzarono la propria gente.
Un chiarimento sull’utilizzo del termine “Negro”. Non è da noi usato in termini spregiativi che non ci appartengono. E’ invece la denominazione più corretta di un gruppo razziale: usare infatti il termine “africani” sarebbe troppo ampio, perché includerebbe anche popolazioni appartenenti a gruppi razziali differenti come “Berberi, Maghrebini, Arabi e altri”. E anche il termine “di colore” comprende popolazioni le più svariate. Quindi noi, le popolazioni sub-sahariane di razza negroide le definiamo nel modo etimologicamente corretto: “Negri”
La leggenda di Kunta Kinte
(Cargo Cult, Burning dwarf entertainment®, Lupus in Bufala), Scritto da: Uriel , Sunday , 01 Jul 2007
Esistono dei luoghi comuni che sono duri a morire, specialmente nella mente dei settantisti. Per il settantista ci sono sempre due fazioni, "A" e "B", una delle quali ha ragione e l'altra ha torto. Ma se anche la fazione che ha ragione avesse dei torti, sarebbe sempre... colpa di quella che ha torto.
Uno degli esempi di questa dialettica e' quella della schiavitu' dei negri negli USA (molto buffamente, il maggior numero di schiavi fini' nel sudamerica, che veniva spopolato e riempito nuovamente di gente presa dall'africa e da altri posti.)(1)
La tesi dei settantisti fu la seguente: tutte le colpe sono dei bianchi, tutti i costi furono dei neri, solo i bianchi si arricchirono, i neri ci rimisero e basta.
A sostegno di questa cosa usci' un libro, negli anni 70, dove si narrava l'immaginaria storia di un certo Mandinko di nome Kunta Kinte (Borghezio sa inventare nomi africani migliori, ma Alex Haley non conosceva Borghezio) , il quale racconta di quale vita felice conducesse nel suo villaggio (un pelo arcaico, si', ma e' tutto folklore) quando improvvisamente arrivarono i bianchi a rapirlo per farlo schiavo.
Questo evento, il rapimento, e' la summa di tutta una leggenda creata negli anni 70 da un movimento di personaggi "radicali", i quali volevano dire alcune cose, fra le quali "la colpa e' tutta dei bianchi".
Peccato che le cose non stessero esattamente cosi'.
Nessun nero fu rapito dai bianchi in africa per essere portato nel nuovo mondo. Essi furono comprati.
Essi furono comprati significa che esisteva ed era fiorente un mercato degli schiavi in tutta l'Africa, mercato che era in grado di soddisfare la richiesta interna PIU' la richiesta enorme del mondo colonlaie.
I neri che partivano dall'africa per le americhe erano gia' schiavi, schiavi per via delle leggi che vigevano nella totalita' delle nazioni africane dell'epoca. I bianchi andavano a comprare gli schiavi nei mercati ove essi venivano venduti: la riduzione in schiavitu' e la cattura dello schiavo NON erano affare dei bianchi.
Non ci fu, insomma, nessun Kunta Kinte catturato e rapito da una pattuglia di bianchi in giro per l'africa, Kunta Kinte fu ridotto in schiavitu' dai suoi connazionali (per questioni di guerre tribali, per questioni di casta, per questioni di debiti, per millanta ragioni insite nelle culture tribali locali) e poi, semmai venduto ai negrieri bianchi.
Il suo destino sarebbe stato migliore se anziche' venire venduto ad un negriero africano? Non si sa, la cosa certa e' che il PIL delle colonie fosse superiore al PIL africano se ragioniamo nel breve termine.
Nel lungo termine, Kunta Kinte ci ha guadagnato: se osservassimo i discendenti di Ubongo Malingo (nome idiota quanto Kunta Kinte) , catturato lo stesso giorno di Kunta Kinte e venduto allo stesso mercato di schiavi, probabilmente non otterremmo nessuno che abbia potuto emanciparsi, studiare, diventare uno scrittore di successo.
Indubbiamente, il sistema schiavista americano era un sistema infame, quanto tutti i sistemi schiavisti. Era un sistema basato sulla razza, esattamente come lo era il sistema schiavistico africano, con la differenza che anziche' di razza si parlava di tribu'.
Allo stesso modo, un discorso di risarcimenti e' piuttosto fumoso: e' vero che gli schiavisti bianchi ci hanno guadagnato, ma e' vero che gli schiavisti neri , in Africa, ci hanno guadagnato.
In poche parole, non e' impossibile che i discendenti del vicino di casa di Kunta Kinte abbiano in tasca i soldi derivati dalla vendita di Kunta Kinte al mercato.
Ora, tutto questo di per se' non e' una novita'. Che non ci siano mai state razzie di schiavi in Africa, ma solo acquisti di schiavi, e' testimoniato dai brogliacci delle compagnie coloniali come quella olandese ,francese, inglese, svedese. Del resto attribuire solo alla domanda di schiavi la paternita' del fenomeno e' assurdo: non ci furono (o furono pochissimi in percentuale) schiavi dall' India, nonostante fosse una colonia inglese, non ce ne furono dall'indocina e da tutte le altre colonie.
Lo schiavismo si concentro' laddove c'era offerta di schiavi, e non soltanto a seconda della domanda. Fu l'offerta, e non la domanda, a concentrare lo schiavismo sull'africa.
La novita' consiste nel fatto che, come capita spesso, sfruttatori e sfruttati, non stanno sempre divisi perfettamente fra due barricate.
E' possibile fare un'analisi di mercato dal punto di vista della domanda/offerta?
Cosa sarebbe successo, cioe', se sui mercati africani degli schiavi non ci fosse stata un'offerta di milioni e milioni di schiavi africani?
Il "what if" nella storia e' abbastanza difficile, ma possiamo fare due ipotesi:
Una crescita del valore della manodopera agricola nel sul degli USA, con conseguente immigrazione dall'europa o da altre zone del mondo, come successe coi cinesi ai tempi della corsa verso il West.
Un afflusso di schiavi da altre zone del mondo, ammesso di trovarne , e ammesso di poterli usare senza sanguinose rivolte
Una delle domande cui si risponde poco riguardo allo schiavismo americano e' "perche' ci furono cosi' poche rivolte".
Uno schiavismo tutto sommato piu' tenue, come quello Romano, causava rivolte su rivolte. L'intera storia di roma ne e' costellata, da quella di Spartacus a quella di Heliopolis; in Sicilia vi fu una rivolta di schiavi che duro' 40 anni di fila, per tutto il medioevo le classi servili si ribellavano e si rivoltavano in continuazione, unendosi ai moti ereticali.
Solo negli USA fu possibile portare milioni di africani con un numero di rivolte limitatissimo e sporadico, con un carattere di limitatezza eccezionale.
La ragione di questa quiescenza e' molto semplice: gli africani venivano comprati quando GIA' schiavi, cioe' con vincoli culturali che li sottomettevano essi stessi alla schiavitu'.
Tale cultura non era presente in altri luoghi; e' vero che anche in India esistono le caste e in tutto l'oriente esisteva la schiavitu', c'e' pero' da dire che non esistevano I MERCATI degli schiavi, e quindi non esisteva un business gia' formato e strutturato.
In Cina, Indocina, India e altri luoghi sarebb stato DAVVERO necessario andare a rapire la gente e ridurla in schiavitu', secondo meccanismi sociali e culturali che NON erano propri di quelle culture, cui probabilmente quei popoli NON si sarebbero assoggettati o avrebbero cercato di ribellarsi, vedi alla voce "Boxer".
Diversa era la questione dell'Africa.
L'africano che arrivava negli USA pensava gia' a se' stesso come schiavo, lo era gia' in patria, lo era secondo le proprie usanze e secondo la propria cultura. Una catena culturale posta nella madre patria, che permise di ammassare milioni di schiavi senza avere un centesimi delle rivolte romane, e faccio notare che i romani reprimevano le rivolte in maniera -assai piu' crudele-.
Per questa ragione non si ribellava: era gia' convinto di essere uno schiavo, ed era gia' impregnato della cultura che lo voleva schiavo. Kunta Kinte era gia' stato fatto schiavo dalla sua gente, e quel che e' peggio , pensava che le cose dovessero andare cosi'. Finire in mano ai bianchi era solo una logica conseguenza, una conseguenza dell'essere schiavo.
Questo e' il motivo per il quale rifiuto di porre attenzione a tutte quelle dialettiche tipo black panther, o roba simile, per le quali se i negri sono negri allora e' tutta colpa dei bianchi.
I bianchi hanno sicuramente approfittato del fatto che i negri fossero negri; essere negri, pero', era un lavoro tutto loro.
Lavoro che svolgevano con entusiasmo e dedizione.
QUIRINO 1
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