QUANDO GLI ISLAMICI NON SPARAVANO AGLI
ITALIANI, TUTT’ALTRO, ESSI LI AMAVANO
RAIBUFALA
Agli inizi degli anni
Trenta fu concepita una apertura fra il Governo di Roma e i Paesi arabi. Tra il
1930 e il 1936 Roma cercò di accentuare la ua azione culturale ed economica nel
Medio Oriente e nell’area araba-islamica in generale. Nel 1930 fu
concepita la Fiera del Levante di Bari. Convegni furono organizzati dai Gruppi
Universitari Fascisti nel 1933 e nel 1934 allo scopo di far incontrare a
Roma gli studenti islamici. Radio Bari iniziò a trasmettere in lingua araba
notiziari e programmi culturali. Tutto ciò mirava ad una penetrazione pacifica
politica-culturale nel mondo arabo. Si diede anche maggior impulso agli studi
arabi e a quelli sull’islamologia. L’impulso era orientato principalmente verso
il mondo giovanile arabo che rispose creando affiliazioni fra le quali il Partito
Giovane Egitto (Hisb al Folà) di Ahmad Hussayn e le Falangi Libanesi
(al-Kadr al Lubnòniyya), e le Camicie Azzurre (al-Qumsàn
az Zarqǎ) organizzazioni egiziane che si ispiravano, anche se vagamente, al
Fascismo. Per conferire maggior impulso a questa politica, dal 12 al 21 marzo
1937 il Duce si recò in Libia dove, fra l’altro inaugurò la grande strada
litoranea, detta Baldia opera gigantesca che si estendeva dai confini
della Tripolitania a quello della Cirenaica con l’Egitto con un percorso di
1882 chilometri. Tempo impiegato: un anno; inaugurò, quindi la Fiera di Tripoli.
Pose la prima pietra per la costruzione di un sanatorio e per una scuola
elementare. <Quando il Duce appare a cavallo sulla più alta duna, esplose
il triplice grido “Ulad!” I cavalieri prescelti offrono al Duce la spada
lampeggiante dell’Islam in oro massiccio intarsiato (…) Il Duce snuda la spada
e l’alza fieramente puntata verso il sole, lanciando a voce altissima il grido
“Ulad!” (…). Il Duce lascia la duna e si avvia verso Tripoli, seguito da
duemila cavalieri galoppanti> (Il Popolo d’Italia, 19/3/1937).
La Spada
dell’Islam, in oro massiccio, finemente cesellata dagli artigiani berberi,
assumeva un notevole valore simbolico e venne consegnata al Duce da uno dei
capi berberi Lusuf Kerbisc: era il riconoscimento di una sostanziale parte del
mondo islamico, per la politica filo-araba del fascismo. Il viaggio in Libia fu
programmato in previsione di un piano quinquennale per l’insediamento di 53mila
coloni in Tripolitania. Negli anni 1938-39, in due riprese, sbarcarono in terra
d’Africa 20mila coloni veneti scelti fra i non proprietari di terra e
trasportati nei nuovi villaggi. Ad essi vennero assegnate case coloniche con
apprezzamento di terreno; ogni casa era fornita da pozzi artesiani con
quanto necessario per il pompaggio di acqua potabile. Ogni giorno automezzi
dell’Ente Nazionale della Libia riforniva le famiglie di quanto
necessario per vivere, nonché di attrezzi e sementi per rendere quelle terre
aride in verdi di piante. La stessa assistenza veniva fornita anche ai libici,
i cui possedimenti furono inseriti fra quelli dei coloni
italiani affinché apprendessero le tecniche più moderne per il migliore
sfruttamento del suolo. Così in quegli anni mai si dovette assistere a carrette
del mari che, come in questi periodi trasportano disperati che navigano
verso l’Europa e che tanti morti hanno causato. E tu, caro lettore, non ti
chiedi perché RaiBufata, e i suoi coi detti storici, mai trattano
anche questo argomento?
A Tripoli e Bendasi
vi erano due ospedali, di moderna concezione, dove potevano accedere – al
contrario di quanto accadeva al di fuori delle nostre colonie - anche cittadini
autoctoni. Le stazioni dei carabinieri erano composte anche da militari
indigeni perché, come vedremo più avanti, considerati Italiani della Quarta
Sponda; la criminalità era inesistente.
Per ritornare al viaggio del Duce in Libia,
è interessante ricordare alcune tappe. Mussolini visita la piccola città di Sirte dove <la
popolazione indigena adunata intorno ai vessilli dell’Islam, lo accoglie con
fervide dimostrazioni di fedeltà e di entusiasmo; il Duce, che traversa la
città in piedi sull’automobile risponde con il saluto romano alle intense
acclamazioni della folla>. Quindi si sposta a Tauroga, poi a
Misurata, dove ispeziona i lavori di bonifica e di irrigazione; quindi si porta
a Bir Tumina, ove scaturisce acqua da un pozzo artesiano, capace di irrigare
tremila ettari di terreno. Quindi è la volta di Tripoli, ove giunto al tramonto
scende dalla macchina, monta a cavallo e, alla testa di duemilaseicento cavalieri
entra in città. Il giorno dopo, in occasione dell’inaugurazione della Fiera
di Tripoli, loda il lavoro compiuto in poco meno di un decennio <le
città si sono trasformate e abbellite e nelle campagne i forti rurali italiani
svegliano, col vomero temprato, una terra che dormiva da secoli>.
Prima di rientrare in
Patria affermò: <Nei Paesi della cosiddetta democrazia, questo continuo
allarmismo nevrotico, questa seminagione di panico e sospetto non serve
certamente alla causa della pace, perché turba profondamente l’atmosfera fra i
popoli. Entro il Mediterraneo e fuori noi desideriamo di vivere in pace con
tutti e offriamo la nostra collaborazione a coloro che manifestino un’identica
volontà>. Ricordiamo che questo discorso fu tenuto nel pieno ella guerra
civile spagnola, quando tutto il mondo era schierato contro il nostro Paese.
Appena rientrato, il
18 marzo Mussolini concesse un’intervista al giornalista Ward Price del Daily
Mail, e così espresse il suo pensiero in merito ad una paventata guerra europea:
<Anche soltanto dal punto di vista pratico del profitto e delle perdite,
nulla potrei guadagnare da una guerra europea, mentre esporrei l’Italia a un
terribile rischio>. Alla domanda
di Price se <fosse pronto a dichiarare che l’Italia è ora interamente
soddisfatta> il Duce così rispose: <Sì, dichiaro che dal punto di
vista coloniale l’Italia è soddisfatta. L’Etiopia è un territorio immenso,
colmo di enormi possibilità. Lo sviluppo di questo richiede tempo, energia e
capitali ed è ragionevole che l’Italia desideri cooperare con le nazioni
europee che hanno colonie in Africa, continente che rappresenta il complemento
dell’Europa ed è necessario ai suoi interessi economici>.
Proprio in quei
giorni si verificherà un avvenimento unico nella storia e che, da solo,
dovrebbe vanificare le bufale raccontate da soggettini come
RaiBufala e dai suoi cosiddetti storici, sempre se si raccontasse la
STORIA, quella vera e non le bufale raccontate per annullare il valore
di quell’Uomo e di quel Regime. Ecco i fatti:
NELLA 179° RIUNIONE DEL “GRAN CONSIGLIO DEL FASCISMO”
TENUTASI IL 26 OTTOBRE 1938, ESAMINANDO LA POSIZIONE DELLA LIBIA, RELATORE
ITALO BALBO, VENNE APPROVATA UNA MOZIONE CHE STABILISCE “CHE LE QUATTRO
PROVINCE DELLA LIBIA ENTRANO A FAR PARTE DEL TERRITORIO NAZIONALE”>. Questo
provvedimento non è che l’estensione del R.D.Legge 3 dicembre 1934 XIII N° 2012
e del R.D. 8 aprile 1937 XV N° 431, nel quale l’articolo 4 riconosce: <una
cittadinanza italiana speciale per i nativi musulmani delle quattro province
libiche che fanno parte integrante del Regno d’Italia>. Con questa legge
i libici divennero gli ITALIANI DELLA QUARTA SPONDA.
Un decreto veramente
rivoluzionario: mai nulla di simile era stato realizzato da alcun Paese
coloniale. Ma questo determinò un ulteriore motivo di attrito con Londra e
Parigi, che mal sopportavano qualsiasi mutamento allo status quo che
considerava le colonie delle semplici terre di sfruttamento e gli autoctoni
degli schiavi.
Anche e sottolineo anche
in questo caso la soluzione si trova ispirandosi alla politica del mai
sufficientemente deprecato ventennio. La dissennata politica
dell’accoglienza è un danno per noi europei e per coloro che fuggono
dall’inferno. C’è un solo modo di risolvere il problema: portare la civiltà
europea e la capacità di lavoro sul posto: in Africa. All’incirca come si fece
nell’infame periodo. Che sempre sia
benedetto.
QUIRINO 1
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