martedì 20 gennaio 2015

QUANDO GLI ISLAMICI NON SPARAVANO.


QUANDO GLI ISLAMICI NON SPARAVANO AGLI ITALIANI, TUTT’ALTRO, ESSI LI AMAVANO
RAIBUFALA


   Agli inizi degli anni Trenta fu concepita una apertura fra il Governo di Roma e i Paesi arabi. Tra il 1930 e il 1936 Roma cercò di accentuare la ua azione culturale ed economica nel Medio Oriente e nell’area araba-islamica in generale. Nel 1930 fu concepita la Fiera del Levante di Bari. Convegni furono organizzati dai Gruppi Universitari Fascisti nel 1933 e nel 1934 allo scopo di far incontrare a Roma gli studenti islamici. Radio Bari iniziò a trasmettere in lingua araba notiziari e programmi culturali. Tutto ciò mirava ad una penetrazione pacifica politica-culturale nel mondo arabo. Si diede anche maggior impulso agli studi arabi e a quelli sull’islamologia. L’impulso era orientato principalmente verso il mondo giovanile arabo che rispose creando affiliazioni fra le quali il Partito Giovane Egitto (Hisb al Folà) di Ahmad Hussayn e le Falangi Libanesi (al-Kadr al Lubnòniyya), e le Camicie Azzurre (al-Qumsàn az Zarqǎ) organizzazioni egiziane che si ispiravano, anche se vagamente, al Fascismo. Per conferire maggior impulso a questa politica, dal 12 al 21 marzo 1937 il Duce si recò in Libia dove, fra l’altro inaugurò la grande strada litoranea, detta Baldia opera gigantesca che si estendeva dai confini della Tripolitania a quello della Cirenaica con l’Egitto con un percorso di 1882 chilometri. Tempo impiegato: un anno; inaugurò, quindi la Fiera di Tripoli. Pose la prima pietra per la costruzione di un sanatorio e per una scuola elementare. <Quando il Duce appare a cavallo sulla più alta duna, esplose il triplice grido “Ulad!” I cavalieri prescelti offrono al Duce la spada lampeggiante dell’Islam in oro massiccio intarsiato (…) Il Duce snuda la spada e l’alza fieramente puntata verso il sole, lanciando a voce altissima il grido “Ulad!” (…). Il Duce lascia la duna e si avvia verso Tripoli, seguito da duemila cavalieri galoppanti> (Il Popolo d’Italia, 19/3/1937).
   La Spada dell’Islam, in oro massiccio, finemente cesellata dagli artigiani berberi, assumeva un notevole valore simbolico e venne consegnata al Duce da uno dei capi berberi Lusuf Kerbisc: era il riconoscimento di una sostanziale parte del mondo islamico, per la politica filo-araba del fascismo. Il viaggio in Libia fu programmato in previsione di un piano quinquennale per l’insediamento di 53mila coloni in Tripolitania. Negli anni 1938-39, in due riprese, sbarcarono in terra d’Africa 20mila coloni veneti scelti fra i non proprietari di terra e trasportati nei nuovi villaggi. Ad essi vennero assegnate case coloniche con apprezzamento di terreno; ogni casa era fornita da pozzi artesiani con quanto necessario per il pompaggio di acqua potabile. Ogni giorno automezzi dell’Ente Nazionale della Libia riforniva le famiglie di quanto necessario per vivere, nonché di attrezzi e sementi per rendere quelle terre aride in verdi di piante. La stessa assistenza veniva fornita anche ai libici, i cui  possedimenti  furono inseriti fra quelli dei coloni italiani affinché apprendessero le tecniche più moderne per il migliore sfruttamento del suolo. Così in quegli anni mai si dovette assistere a carrette del mari che, come in questi periodi trasportano disperati che navigano verso l’Europa e che tanti morti hanno causato. E tu, caro lettore, non ti chiedi perché RaiBufata, e i suoi coi detti storici, mai trattano anche questo argomento?
   A Tripoli e Bendasi vi erano due ospedali, di moderna concezione, dove potevano accedere – al contrario di quanto accadeva al di fuori delle nostre colonie - anche cittadini autoctoni. Le stazioni dei carabinieri erano composte anche da militari indigeni perché, come vedremo più avanti, considerati Italiani della Quarta Sponda; la criminalità era inesistente.
    Per ritornare al viaggio del Duce in Libia, è interessante ricordare alcune tappe. Mussolini  visita la piccola città di Sirte dove <la popolazione indigena adunata intorno ai vessilli dell’Islam, lo accoglie con fervide dimostrazioni di fedeltà e di entusiasmo; il Duce, che traversa la città in piedi sull’automobile risponde con il saluto romano alle intense acclamazioni della folla>. Quindi si sposta a Tauroga, poi a Misurata, dove ispeziona i lavori di bonifica e di irrigazione; quindi si porta a Bir Tumina, ove scaturisce acqua da un pozzo artesiano, capace di irrigare tremila ettari di terreno. Quindi è la volta di Tripoli, ove giunto al tramonto scende dalla macchina, monta a cavallo e, alla testa di duemilaseicento cavalieri entra in città. Il giorno dopo, in occasione dell’inaugurazione della Fiera di Tripoli, loda il lavoro compiuto in poco meno di un decennio <le città si sono trasformate e abbellite e nelle campagne i forti rurali italiani svegliano, col vomero temprato, una terra che dormiva da secoli>.
   Prima di rientrare in Patria affermò: <Nei Paesi della cosiddetta democrazia, questo continuo allarmismo nevrotico, questa seminagione di panico e sospetto non serve certamente alla causa della pace, perché turba profondamente l’atmosfera fra i popoli. Entro il Mediterraneo e fuori noi desideriamo di vivere in pace con tutti e offriamo la nostra collaborazione a coloro che manifestino un’identica volontà>. Ricordiamo che questo discorso fu tenuto nel pieno ella guerra civile spagnola, quando tutto il mondo era schierato contro il nostro Paese.
   Appena rientrato, il 18 marzo Mussolini concesse un’intervista al giornalista Ward Price del Daily Mail, e così espresse il suo pensiero in merito ad una paventata guerra europea: <Anche soltanto dal punto di vista pratico del profitto e delle perdite, nulla potrei guadagnare da una guerra europea, mentre esporrei l’Italia a un terribile rischio>. Alla domanda  di Price se <fosse pronto a dichiarare che l’Italia è ora interamente soddisfatta> il Duce così rispose: <Sì, dichiaro che dal punto di vista coloniale l’Italia è soddisfatta. L’Etiopia è un territorio immenso, colmo di enormi possibilità. Lo sviluppo di questo richiede tempo, energia e capitali ed è ragionevole che l’Italia desideri cooperare con le nazioni europee che hanno colonie in Africa, continente che rappresenta il complemento dell’Europa ed è necessario ai suoi interessi economici>.
   Proprio in quei giorni si verificherà un avvenimento unico nella storia e che, da solo, dovrebbe vanificare le bufale raccontate da soggettini come RaiBufala e dai suoi cosiddetti storici, sempre se si raccontasse la STORIA, quella vera e non le bufale raccontate per annullare il valore di quell’Uomo e di quel Regime. Ecco i fatti:
NELLA 179° RIUNIONE DEL “GRAN CONSIGLIO DEL FASCISMO” TENUTASI IL 26 OTTOBRE 1938, ESAMINANDO LA POSIZIONE DELLA LIBIA, RELATORE ITALO BALBO, VENNE APPROVATA UNA MOZIONE CHE STABILISCE “CHE LE QUATTRO PROVINCE DELLA LIBIA ENTRANO A FAR PARTE DEL TERRITORIO NAZIONALE”>. Questo provvedimento non è che l’estensione del R.D.Legge 3 dicembre 1934 XIII N° 2012 e del R.D. 8 aprile 1937 XV N° 431, nel quale l’articolo 4 riconosce: <una cittadinanza italiana speciale per i nativi musulmani delle quattro province libiche che fanno parte integrante del Regno d’Italia>. Con questa legge i libici divennero gli ITALIANI DELLA QUARTA SPONDA.
   Un decreto veramente rivoluzionario: mai nulla di simile era stato realizzato da alcun Paese coloniale. Ma questo determinò un ulteriore motivo di attrito con Londra e Parigi, che mal sopportavano qualsiasi mutamento allo status quo che considerava le colonie delle semplici terre di sfruttamento e gli autoctoni degli schiavi.
   Anche e sottolineo anche in questo caso la soluzione si trova ispirandosi alla politica del mai sufficientemente deprecato ventennio. La dissennata politica dell’accoglienza è un danno per noi europei e per coloro che fuggono dall’inferno. C’è un solo modo di risolvere il problema: portare la civiltà europea e la capacità di lavoro sul posto: in Africa. All’incirca come si fece nell’infame periodo. Che sempre sia benedetto.
QUIRINO 1
          

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