QUELLA “MERAVIGLIOSA UTOPIA”
Viviamo l’anno 2013; il prossimo novembre
sarà l’anniversario dell’enunciazione di quello che viene ricordato come il “Manifesto
dei 18 Punti di Verona”. Quanto in esso contenuto è la logica conseguenza
delle origini fasciste del 1919: principi che hanno attraversato il “Ventennio”,
con un susseguirsi costante di decreti e leggi, di chiarissime finalità
sociali, che già allora erano all’avanguardia, non solo in Italia, ma nel mondo
intero e senza le quali oggi vivremmo su “palafitte sociali”. Tappa
fondamentale di questo processo sono i principi essenziali dell’ordinamento
corporativo, espressi e ordinati dalla “Carta del Lavoro” che vide la
luce il 21 aprile 1927. La “Carta del Lavoro” portava il lavoratore
fuori dal buio del medioevo sociale per immetterlo in un contesto di diritti
dove i rapporti fra capitale e lavoro erano, per la prima volta nel mondo,
previsti e codificati.
In altre parole, la nascita dello Stato Corporativo rappresentò
l’intento di superare sia le angustie imposte dallo Stato liberale, sia le
sanguinose illusioni dello Stato sovietico. Questo esperimento, tutto italiano,
incontrò vasti consensi presso i lavoratori di tutto il mondo, tanto da
spaventare i manovratori della finanza internazionale che avvertì il pericolo
mortale e operò per abbattere il Fascismo e le sue idee. Cosa che si verificò
con la violenza delle armi.
Il 14 ottobre 1944 Benito Mussolini così sintetizzava, lapidariamente,
quei “Punti” i cui aspetti vitali erano le leggi sulla socializzazione
delle imprese: <La socializzazione altro non è se non la
realizzazione italiana, umana, nostra, effettuabile del socialismo. Dico nostra
in quanto fa del lavoro il soggetto unico dell’economia, ma respinge le
meccaniche livellazioni di tutto e di tutti, livellazioni inesistenti nella
natura e impossibili nella storia>.
Questa “meravigliosa utopia” è oggi riproponibile per risolvere i
problemi che angustiano l’attuale mondo, privo di ogni remora e adagiato sul
sistema di vita americano?
Il teorico e storico della dottrina cattolica Don Ennio Innocenti, che
tanti anni ha dedicato allo studio e all’insegnamento, ha scritto che il
problema affrontato da Mussolini nell’ultimo decennio della vita <fu
quello di far entrare il corporativismo nelle imprese per elevare il lavoratore
da collaboratore dell’impresa a partecipe alla gestione e alla proprietà e,
quindi, ai risultati economici della produzione>. E ha aggiunto: <Durante la R.S.I. fu emanato un decreto
che prevedeva la socializzazione delle imprese. E’ stato questo,
sostanzialmente, il messaggio che Mussolini ha affidato al futuro. E’ un
messaggio in perfetta armonia con la Dottrina Sociale Cattolica, che è e
resterà sempre radicalmente avversa sia al capitalismo, sia al socialismo. In quest’ultimo
messaggio mussoliniano di esaltazione del lavoro noi ravvediamo qualcosa di
profetico>.
Che il messaggio mussoliniano sia <in perfetta armonia con la
Dottrina Sociale Cattolica>, si evince chiaramente
anche dall’ enciclica “Rerum Novarum” di Papa Leone XIII del 1891, nella
quale è definita la dottrina sociale della Chiesa. In essa è ben chiara la
condanna degli eccessi del capitalismo e dei monopoli; la denuncia dello
sfruttamento dei lavoratori qualificandolo come peccato sociale, ribadisce, nel
contempo, la legittimità della proprietà, ma solo come funzione sociale che
deve essere rispettata.
Pure se sembra strano, anche da oltre Oceano giunsero segni di
apprezzamento per l’opera messa in atto dall’Italia del Ventennio. J.P. Giggins, autore del libro L’America, Mussolini e il Fascismo, a pag. 45, ha scritto: <Negli anni Trenta lo Stato corporativo
sembrò una fucina di fumanti industrie. Mentre l’America annaspava, il
progresso dell’Italia nella navigazione, nell’aviazione, nelle costruzioni
idroelettriche e nei lavori pubblici, offriva un allettante esempio di azione
diretta di pianificazione nazionale. In confronto all’inettitudine con cui il
Presidente Hoover affrontò la crisi economica, il dittatore italiano appariva
un modello di attività (…)>. E Renzo De Felice aggiungeva: <La liberale e antifascista “Nation” arrivava
ad auspicare un Mussolini anche per gli Stati Uniti>.
Nonostante l’accostamento di principi così elevati, il “messaggio”
del novembre 1943 è stato obliato proprio da quegli stessi che si sono
considerati gli epigoni e i continuatori delle idee del Fascismo e della
Repubblica Sociale.
In questo secondo interminabile dopoguerra è stato scritto dai seguaci
di questa “Repubblica nata dalla Resistenza” che l’idea mussoliniana
della Socializzazione <fu un tardivo espediente per ingannare
le masse lavoratrici>.
E’ uno dei tanti artifizi di un regime corrotto e inetto, terrorizzato dal dover affrontare un serio
confronto con lo Stato che lo aveva preceduto; tanto terrorizzato che è stato
costretto a creare una cortina di menzogne e, contestualmente, a varare leggi
antidemocratiche e liberticide, quali la “Legge Scelba”, la “Legge
Reale” e la “Legge Mancino”. L’attuabilità della socializzazione
delle imprese è dimostrata dalla storia. Infatti, anche se la situazione nel
1944 stava precipitando a causa del disastroso corso della guerra, nelle
imprese socializzate si riscontrò un notevole incremento della produzione. A
dicembre 1944 Nicola Bombacci programmò una serie di comizi e conferenze fra le
imprese socializzate e, tra queste, visitò la Mondadori, traendone sorpresa e
emozione. A seguito di ciò, inviò una lettera a Mussolini nella quale, fra
l’altro, scrisse: <Ho parlato con gli operai che fanno parte del
Consiglio di Gestione, che ho trovato pieni di entusiasmo e compresi di questa
loro missione, dato che gli utili, dopo questi primi mesi, è di circa 3
milioni>.
La guerra volgeva ormai alla fine e, come ha scritto Amicucci ne “I
600 giorni di Mussolini”: <Mussolini voleva che gli anglo-americani e i
monarchici trovassero il nord Italia socializzato, avviato a mete sociali molto
spinte; voleva che gli operai decidessero nei confronti dei nuovi occupanti e
degli antifascisti, le conquiste sociali raggiunte con la R.S.I.>.
Il 20
aprile 1945 gli eserciti invasori ruppero il fronte a Bologna e dilagarono
nella pianura Padana.
Era la fine.
I comunisti che controllavano il C.L.N.A.I., come primo atto ufficiale,
firmato da Mario Berlinguer (padre di Enrico), addirittura il 25 aprile, mentre
si continuava a sparare ed era iniziato “l’olocausto nero”, come primo
atto ufficiale abolirono la legge sulla socializzazione. Era il dovuto
riconoscimento da parte dei comunisti verso il grande capitale, per l’aiuto
economico elargito da quest’ultimo al movimento partigiano, dominato al novanta
per cento dai comunisti.
QUIRINO 1
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