domenica 15 gennaio 2012

L’Italia è sotto “occupazione straniera”?

Gianandrea Gaiani, analista militare, è direttore del
mensile telematico “Analisi Difesa” e collaboratore di varie testate:
ha una sua rubrica su “Panorama” e scrive per “Il Sole 24 Ore”, “Il
Foglio” e “Libero”. Recentemente il dottor Gaiani ha espresso
posizioni molto dure sul nuovo governo italiano, sia in un editoriale
di “Analisi Difesa” sia in una lettera a “Il Foglio”. Definito come un
“governo di occupazione”, imposto all’Italia da potenze esterne, il
gabinetto Monti, a giudizio del dott. Gaiani, si distinguerebbe per
sudditanza e non starebbe facendo davvero gl’interessi dell’Italia, ma
anzi danneggiandoli. Il con-direttore Daniele Scalea ha incontrato il
dott. Gaiani per discutere con lui della sua forte presa di posizione.


DS: Dottor Gaiani, pare di capire che, a suo giudizio, i paesi che
avrebbero imposto questo “governo d’occupazione” all’Italia sarebbero
Francia, Germania e USA. È corretto?

GG: Per essere precisi, ritengono che siano state Parigi e Berlino a
prendere la decisione. Washington si è limitata ad intervenire per
salvaguardare i propri interessi: Obama, in un colloquio telefonico
col presidente Napolitano, gli avrebbe suggerito i nomi cui affidare i
dicasteri della Difesa e degli Esteri (evidentemente più cari agli
USA), ossia rispettivamente quello del presidente del Comitato
militare della NATO ammiraglio Di Paola e dell’ambasciatore a
Washington Terzi di Sant’Agata.
In sostanza, comunque, è avvenuto ciò che è avvenuto in Grecia: è
stato imposto un “governo fantoccio”, che rende conto a potentati
esterni anziché al popolo.

Nei suoi interventi ha attirato l’attenzione su una questione
inspiegabilmente passata sotto silenzio dai media: la richiesta
dell’UE di abrogare le cosiddette “golden shares”. Ossia le quote e
ben precisi poteri decisionali che lo Stato italiano mantiene nelle
aziende strategiche privatizzate.

È paradossale che l’UE, in una situazione descritta come di piena
emergenza, non trovi di meglio da fare che occuparsi delle golden
shares italiane. Tanto più che Francesi e Tedeschi hanno meccanismi
simili per proteggere le loro aziende strategiche. A breve scade
l’ultimatum lanciato dall’UE all’Italia: senza una legge che
sostituisca le golden shares e fornisca una protezione da scalate
esterne, il settore strategico italiano (Telecom, Finmeccanica, ENI,
Enel, ma anche le banche) sarà acquisito dagli stranieri per due
soldi, complici le cadute nelle contrattazioni borsistiche. Facciamo
qualche esempio. Le banche italiane hanno oggi una capitalizzazione
che supera di poco i 30 miliardi di euro, ma gestiscono una quantità
di denaro che è cinque volte superiore. Eppure, acquistarle tutte
assieme costerebbe meno che acquistare la sola BNP Paribas.
Finmeccanica ha una capitalizzazione di 2 miliardi, ma possiede beni
immobili che da soli valgono 4 miliardi. Francesi, Tedeschi, ma non
solo, si preparano a comperare i pezzi pregiati della nostra
industria, e lo faranno anche per eliminare dei rivali. In fondo, la
guerra in Libia non è servita a togliere interessi strategici
all’Italia, e rimpiazzarla nel paese nordafricano? Vi sono due modi
per togliere di mezzo un rivale: soffiargli i contratti, come in
Libia, oppure comprarlo, farlo passare sotto il proprio controllo,
come rischia di succedere alle aziende italiane.
Il negoziato per alleggerire i termini del rientro sul debito, chiesto
dall’Italia all’UE, ci metterà di fronte ad un ricatto: svendere in
cambio le nostre industrie pregiate. I due pesi e le due misure sono
palesi: alla Germania è stato chiesto di eliminare dei provvedimenti
che tutelano il suo settore automobilistico; non lo fa, eppure non
riceve alcun ultimatum. Ben diverso è il trattamento riservato
all’Italia, alla Grecia o all’Ungheria. Quest’ultima è stata costretta
a rinunciare a leggi decise dai suoi rappresentanti eletti in cambio
d’aiuti finanziari europei.

Poche settimane prima della caduta del governo Berlusconi, si era
parlato di un interessamento della Cina ad acquisire partecipazioni
nell’industria strategica. Non è possibile che queste manovre siano
state motivate anche dalla decisione di non permettere a Pechino di
realizzare queste acquisizioni?

Non credo, perché l’interesse cinese tende più verso i titoli di
debito pubblico. È più semplice penetrare lì, che nel settore
strategico.

Alcuni critici hanno tacciato il gabinetto Monti d’essere un “governo
dei banchieri”. Tuttavia, si è visto come le banche italiane siano
state discriminate dall’UE, che ha richiesto una ricapitalizzazione in
ragione dei titoli del Tesoro italiano posseduto da queste banche,
risparmiando invece gl’istituti finanziari francesi e tedeschi pieni
di “titoli tossici”. Insomma: se anche le banche sono “vittime”, chi
sono i “complici” interni di questa “occupazione”? E se non ve ne
sono, come ha potuto essere imposto all’Italia un “governo
d’occupazione”, come lo definisce lei?

Si è imposto grazie alla debolezza della politica. Ed a metodi di
pressione dall’esterno che non necessariamente richiedono complicità
interne. Berlusconi ha accelerato i tempi delle sue dimissioni dopo
che un pesante attacco speculativo fece crollare il titolo Mediaset in
borsa… E comunque, un governo delle banche non deve esserlo
necessariamente di quelle italiane (che pure sono state favorite da
numerosi provvedimenti). La stessa ricapitalizzazione chiesta dall’UE
può aiutare gli stranieri ad entrare nelle banche italiane. Che sono
particolarmente ghiotte perché contengono l’ingente risparmio delle
famiglie italiane.

Ma insomma, esistono settori “nazionali”, animati da senso dello Stato
e – perché no? – sano patriottismo, che potrebbero reagire a tutto
ciò?

L’unico modo per reagire è far mancare il sostegno al Governo in
Parlamento. Ma la politica non è in grado, perché non può fornire
un’alternativa e comunque è lieta che ad aumentare le tasse sia un
governo tecnico. Un “governo d’occupazione”, dico io, perché favorisce
i competitori dell’Italia. Sono davvero “straordinarie”, come le ha
definite la Merkel, le misure del gabinetto Monti: infatti ci
garantiranno recessione ed inflazione allo stesso tempo. Togliere di
mezzo una delle maggiori potenze economiche mondiali è nell’interesse
di parecchi paesi.

E dato che lei è prima di tutto un analista militare, veniamo ad una
scottante questione che è salita all’onore delle cronache, proprio in
rapporto alla politica d’austerità, negli ultimi giorni. Mi riferisco
alla polemica relativa all’oneroso acquisto dei caccia multiruolo
statunitensi “Joint Strike Fighter” F-35 da parte dell’Italia. Al di
là degli argomenti antimilitaristi, da un punto di vista realista,
quest’acquisizione conviene o non conviene?

Il programma JSF avrebbe dovuto costare all’Italia, nei piani
originari, 2 miliardi per lo sviluppo e 15 miliardi per l’acquisto di
131 aerei. Si tratta d’una cifra che è già oggetto di riesame:
probabilmente ne compreremo solo un centinaio. In ogni caso, lo
sviluppo dell’aereo è arrivato in ritardo rispetto alla tabella di
marcia, ed il conseguente aumento dei costi è difficile da
quantificare. In Italia ufficialmente si prevede d’acquistare ciascun
velivolo al costo unitario di 78 milioni di dollari. I canadesi, però,
calcolano che ogni JSF costerà loro 146 milioni.
Diciamo subito che gli aerei, dopo trent’anni, è normale vadano
cambiati. Si può ovviamente decidere di cambiarli con meno mezzi, ed è
già il nostro caso: i 131 F-35 daranno il cambio a 220-250 velivoli
più vecchi. Ma all’Italia servono questi F-35? Servono se vogliamo
continuare a bombardare in giro per il mondo a fianco dei nostri
alleati. Quest’aereo sarà acquistato da altri paesi della NATO, e
possederlo renderà le nostre forze integrabili con quelle alleate.
In ogni caso, l’aereo è statunitense: noi abbiamo un ruolo di
sub-fornitori, e dunque deboli ricadute industriali. Acquistando
l’F-35, rinunciamo alla capacità di produrre da soli i nostri aerei,
come con l’Eurofighter, o come fanno i Francesi con il Rafale.
Rinunciamo a sviluppare la versione d’attacco al suolo
dell’Eurofighter, su cui invece investiranno i Tedeschi. Ciò ci
condanna a lavorare su prodotti nordamericani per molti anni a venire.
I Francesi non riescono ad esportare il loro Rafale: esaurite le
commesse interne, chiuderanno la catena di montaggio. Fra dieci anni
in Occidente ci sarà una sola catena di montaggio: quella degli USA.
Non è una scelta d’oggi: è stata presa nel 1996 e confermata nel 2002.
Se vogliamo continuare a fare la guerra (anche contro i nostri
interessi, come talvolta accade) ci servono questi aerei. Andrebbero
bene anche gli Eurofighter, in realtà, a maggior ragione visto che i
nostri avversari sono guerriglieri o eserciti scalcinati. La
sofisticazione è però utile all’industria, perché permette d’acquisire
tecnologia assieme agli aerei.
Ma v’è infine un aspetto fondamentale di cui non si parla mai: gli
F-35 costano molto, ma costa ancora più caro tenerli in linea. Il
bilancio della Difesa sarà sempre più ridotto dai tagli finanziari:
già oggi conta poco più dei soldi necessari a pagare gli stipendi.
Dovremmo allora blindare i bilanci della Difesa per i prossimi 15-20
anni, o corriamo il rischio di ritrovarci con tanti moderni F-35, ma
senza i soldi per fargli il pieno. Già succede in parte: la voce
dell’esercizio è quella più colpita dai tagli. Se non garantiamo
risorse alla Difesa, ha poco senso acquistare questi aerei.
L’aeronautica italiana punta a mantenere una forza su due diversi
velivoli, l’Eurofighter Typhoon per la difesa e l’F-35 per l’attacco.
Anche la Gran Bretagna lo fa, ma ha molti più soldi di noi come del
resto Francia e Germania che avranno invece un solo velivolo
multiruolo.

Nei suoi interventi ha ricordato che l’Italia ha una “sovranità
limitata” da molti decenni: potremmo dire dal 1943. La domanda che mi
pongo è: l’Italia può essere sovrana dentro la NATO? Ovvero bisogna
trovare una nuova configurazione strategica, quale può essere una
ristrutturazione dell’Alleanza Atlantica, o un trattato di sicurezza
collettiva pan-europeo, quale quello promosso dai Russi negli ultimi
anni?

Durante la Guerra Fredda, anche se la nostra sovranità era limitata,
gl’interessi dell’Italia (e dell’Europa) e degli USA convergevano.
Oggi la situazione è mutata, come dimostra il caso libico. Gli USA
negli ultimi mesi hanno sacrificato molti regimi arabi loro alleati
per rimpiazzarli con nuovi regimi a loro volta non molto democratici.
Persino l’Arabia Saudita si preoccupa, tanto da intervenire in Bahrayn
prima che lo facessero gli USA. Siamo sicuri che il Mediterraneo
dominato dall’islamismo sia nell’interesse europeo? Io credo di no.
Invece può esserlo in quello degli USA, che sono più lontani, al di là
dell’oceano.
Bisogna rivalutare il ruolo italiano ed europeo rispetto ai nostri
interessi. Gli USA hanno giocato un ruolo tutto sommato stabilizzatore
fino a Bush, mentre ora ricoprono un ruolo palesemente
destabilizzatore. L’Italia stessa è stata destabilizzata con la guerra
di Libia. Berlusconi partecipò controvoglia all’intervento,
inizialmente decidendo che i velivoli italiani non avrebbero lanciato
bombe. Il venerdì di Pasqua Kerry, presidente della Commissione esteri
del Senato statunitense, giunse in Italia per conferire privatamente
con Berlusconi. La domenica successiva Obama telefonò a Berlusconi. Il
giorno dopo, anche l’Italia diede il via ai bombardamenti. Questo
significa avere sovranità limitata. Sovranità che oggi è proprio
azzerata.
Bisogna riflettere sulle alleanze. La Francia e la Gran Bretagna, in
Libia, hanno fatto i loro interessi. Parigi ha scelto di tenere la
propria flotta fuori dal controllo della NATO, perché alla testa di
quest’ultima c’era un ammiraglio italiano. Il mondo è cambiato,
bisogna riconoscerlo e guardare al nostro interesse nazionale. Oggi ci
sono paesi pronti a tutto per un contratto petrolifero. Quando Sarkozy
decise d’attaccare la Libia, gli aerei francesi sorvolarono l’Italia
senza nemmeno chiederci il permesso. Questi sono competitori, non
alleati.

Lei è un “euro-scettico”, vero?

L’Europa non c’è mai stata. Sono vent’anni che seguo guerre sul campo,
e l’Europa non l’ho mai vista, se non nelle chiacchiere e nei
regolamenti astrusi. Persino nei Balcani l’Europa si è dimostrata
incapace, ed ha dovuto far intervenire la NATO. Non c’è un sentimento
europeo. E l’Europa non è democratica: nessuno l’ha votata. Gli unici
due referendum costituzionali li ha persi, per poi scavalcarli tramite
il voto dei parlamenti. La verità è che oggi qualcuno sta riuscendo là
dove non era riuscito Napoleone coi granatieri e Hitler coi panzer.
Germania e Francia, con lo spread, stanno creando un impero.

Berlino e Parigi riusciranno a mantenere congiuntamente questo
“impero”? O alla fine si scontreranno per il potere?

Oggi vi sono due assi in Europa. Il primo è quello franco-britannico
sulla Difesa: lanciano progetti che poi si rifiutano di condividere
col resto dell’UE. Il secondo è il direttorio economico
franco-tedesco. Ma mentre gli USA prima realizzarono l’unione degli
Stati tramite la guerra d’indipendenza e poi costruirono le
istituzioni federali, noi europei prima abbiamo creato le istituzioni
e la moneta unica, e poi stiamo pensando a costituire l’unione
politica.

Certo però che bisogna porsi il problema dell’alternativa all’Unione
Europea. In questo mondo che viaggia verso il multipolarismo, in cui
la tendenza evidente è all’integrazione regionale, come potrebbe
l’Italia, da sola, sperare di conservare la sua sovranità, dovendo
competere con grandi potenze semi-continentali o con possenti
costruzioni integrate?

Io voglio mantenere l’UE, perché ha alcune cose positive, come il
libero scambio interno. Ma la Turchia, fuori dall’UE, sta costruendo
un suo “impero”, grazie ad una classe politica che ha il coraggio di
muoversi su scala regionale in maniera vincente.

Ma lei, da esperto militare, saprà bene che non si possono guardare
solo le cifre. Certo, come PIL nominale l’Italia è anche più forte
della Turchia. Ma la Turchia ha una coesione morale, una vitalità
popolare, un entusiasmo che mancano all’Italia, un paese declinante
sotto molti punti di vista. Ecco perché ci servirebbe un’alternativa
all’UE, se non vogliamo più restarvi o se dovesse crollare nostro
malgrado. Dove trovarla? Forse proprio in un asse mediterraneo con la
Turchia, per gestire ed arrangiare congiuntamente il nuovo volto del
nostro mare?

Non è necessario uscire dall’Europa ma mettere in discussione questo
tipo d’Europa, puntando senza compromessi a garantire i nostri
interessi nazionali specie nell’area mediterranea. Non possiamo
diventare un lander sgangherato della Germania, o un “territorio
d’Oltremare” francese. Ci manca purtroppo una classe politica capace
di decisioni forti.
Fonte: geopolitica-rivista

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